Mercoledì 13 dicembre la Camera dei rappresentanti statunitense ha approvato l’apertura di un’indagine per impeachment nei confronti dell’attuale presidente Joe Biden. Una decisione raggiunta con un voto ufficiale, ma che già era stata annunciata l’anno scorso dall’allora speaker of the House Kevin McCarthy. Quando i repubblicani avevano riguadagnato la maggioranza dei 435 seggi della Camera grazie alle midterm elections.
L’accusa rivolta a Biden, sebbene con prove a dir poco flebili, è di aver tratto un profitto personale dalla sua posizione vice-presidenziale durante il doppio mandato Obama (2009-2017). Sotto la lente di ingrandimento il figlio Hunter, che in quegli otto anni gestiva varie iniziative imprenditoriali in Ucraina e Cina.
Le procedure di voto
Una mozione passata di misura, come d’altronde ci si poteva aspettare. I 221 voti favorevoli, a fronte dei 212 contrari, rispecchiano esattamente la divisione dei seggi tra Repubblicani e Democratici. Insomma, come si direbbe negli Stati Uniti, un risultato partisan.
I rappresentati del GOP (Great Old Party, il Partito Repubblicano americano) avevano in realtà avviato unilateralmente le indagini in maniera informale già tre mesi fa. Per trovarsi quasi subito ostacolati da una doppia difficoltà. Da una parte, le questioni interne agli stessi repubblicani. Il 3 ottobre 2023, infatti, Mike McCarthy è diventato il primo speaker (vale a dire presidente) della Camera dei Rappresentati a essere rimosso dalla sua carica. In poche parole aveva perso il favore anche della sua stessa fazione.
Dall’altra parte – come aveva spiegato a novembre uno dei legali del presidente Biden – le investigazioni sarebbero state illegittime fino ad avvenuta formalizzazione tramite voto. Ora, grazie all’operato del nuovo speaker Mike Johnson, l’ufficialità è arrivata. Garanzia, secondo il GOP, di una maggiore collaborazione da parte della Casa Bianca. Finora infatti ogni tentativo di inchiesta più approfondita era stato respinto al mittente per la «mancanza di un effettivo voto nella Camera». Adesso, con l’ufficializzazione dell’apertura delle indagini, l’accusa avrà più potere per far rispettare agli imputati futuri mandati di comparizione di fronte al giudice.
La reazione di Biden e l’intreccio Trump
«Sono solo trovate acrobatiche senza fondamento per portarmi all’impeachment». Come naturale, Joe Biden ha prontamente denunciato l’azione repubblicana. È anzi passato al contrattacco, accusando il partito conservatore di ignorare i veri problemi del popolo statunitense. «Invece di agire per contribuire a migliorare le vite degli americani, si sono concentrati sull’attaccarmi con menzogne». E secondo il presidente democratico, tutto questo polverone che si è alzato finirà per essere una enorme perdita di tempo. Per lui e per la Camera dei rappresentanti.
Difficile non intravedere nel voto della Camera un’azione politica. Tra meno di un anno, infatti, milioni di americani torneranno alle urne per eleggere il prossimo presidente degli Stati Uniti. Anche se, con tutta probabilità, il P.O.T.U.S. non sarà nuovo. Sull’orizzonte si staglia, infatti, una nuova sfida tra Biden e Trump. Con quest’ultimo che sta spingendo i suoi alleati repubblicani a portare avanti rapidamente le indagini. Ogni passo falso, anche apparente, può avvicinarlo allo Studio Ovale. Per adesso – nonostante si abbiano a disposizione oltre 40mila pagine di documenti bancari e svariate ore di registrazioni – non sarebbero emerse prove definitive ai danni di Biden o di suoi familiari.
E ora cosa succede?
Il voto favorevole della Camera dei rappresentanti garantisce all’indagine un’estensione temporale fino al 2024. E, come già accennato in precedenza, conferiscono più potere di citare in giudizio ai tre comitati della Camera che conducono l’inchiesta. Se questi ultimi decidessero di procedere con l’impeachment, si terrà un nuovo voto nella Camera dei rappresentanti. Se vincerà ancora il sì, Biden sarà messo sotto accusa e la questione passerà in mano al Senato. Dopo il processo, la Camera alta deciderà se destituire o meno il presidente.
E la storia non sorride a Biden. Dei quattro presidenti che nell’intera storia americana sono stati indagati per impeachment, tre sono stati poi accusati formalmente: Andrew Johnson, Bill Clinton e Donald Trump. Il quarto, Richard Nixon, lo ha evitato dimettendosi prima del voto. Ma i Repubblicani hanno solo una leggera maggioranza di seggi nella Camera. La prospettiva di un full impeachment sembra difficile, soprattutto per il terremoto politico che comporterebbe. E la rimozione dallo Studio Ovale, per cui ci sarebbe bisogno dell’accordo tra 60 senatori, è una chimera. Almeno per ora.