Immaginate quattro attori. Immaginate che siano millenials, gli eterni figli che dipendono ancora dai loro padri. Si rivolgono al pubblico per spiegare chi sono e cosa ci fanno sul palco, ma noi conosciamo già la loro storia. In media hanno 28 anni, una laurea, molti lavori e molta difficoltà nel farsi spazio nel mondo “degli adulti”. Non ci aspetteremmo mai, però, che in scena non ci sia solo “Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia” ma una rappresentazione nuda e cruda delle brutture e delle violenze della nostra società. È il testo di Eleonora Paris e Francesca Mignemi, con la regia di Virginia Landi e prodotto dal Teatro delle Donne. Dal 25 al 28 novembre, al Teatro I di Milano, a dare un volto alla miriade di personaggi shakespiriani ci sono Francesco Aricò, Diana Bettoja, Federico Gariglio e Valeria Girelli. Si tratta di una riscrittura del Tito Andronico di Shakespeare, ambientato in un’epoca lontana (siamo nella Roma antica) ma con temi che ci toccano da vicino.
C’è la violenza, in tutte le sue salse, da quella sulle donne a quella dei padri verso i figli, dei figli verso i padri, dei popoli contro altri popoli. C’è il colonizzato e il colonizzatore, c’è la distruzione e la sofferenza, c’è il silenzio di chi non ha più voce per denunciare le crudeltà.
In un momento di crisi come quello degli ultimi anni, “Due volte Tito” spinge lo spettatore a chiedersi: cosa farmene di questa eredità? Di quella chiusa nelle pagine dei grandi maestri come Shakespeare (e prima di lui Ovidio), modelli tramite cui abbiamo interiorizzato una cultura “della ferocia”. Attenzione, la rappresentazione teatrale non condanna l’opera magistrale di Shakespeare ma è un monito a scindere l’arte dalla vita e a seppellire i condizionamenti inculcati da una società patriarcale e misogina.
Perché il Tito Andronico?
Il Tito Andronico è una delle tragedie più truculente di Shakespeare. Questo è uno dei motori che ha spinto alla riscrittura di quest’opera, ma non è l’unica motivazione. “La violenza è esplicita ed esasperata, ci sembrava lo strumento necessario per leggere le dinamiche distruttive della nostra società attuale” – spiega Eleonora Paris, una delle due autrici – “Nel Tito Andronico è evidente anche la concezione della cultura occidentale come suprema e più valida, una cultura che non capisce e non dialoga con le altre. Molto attuale come tematica”. L’idea nasce nel 2018 quando, a pochi mesi dalle elezioni, ovunque rimbalzavano slogan politici, spesso razzisti e discriminatori. “Se si impoverisce il linguaggio, si impoverisce il pensiero. Peggio ancora quando ti si attaccano addosso frasi di odio e ti senti giustificato a ripeterle. Nel Tito Andronico c’è questa spirale di violenza che genera altra violenza. Ci siamo chieste chi metterà un punto?” continua Eleonora. Nel testo si alternano registro solenne a quello più colloquiale, quasi comico. “Bisogna considerare che in scena c’è un coro di quattro attori della generazione millenials. Raccontano la tragedia ma in realtà affrontano un percorso di formazione che li porterà a seppellire modelli che hanno metabolizzato. La loro inconsapevolezza e ingenuità a volte risulta ironica e genera una risata negli spettatori. Scrivendo, però, non puntavamo a questo, ne è stata una conseguenza” conclude l’autrice.
“Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia” parla a un pubblico transgenerazionale. Parla ai figli e ai padri che non sanno lasciare spazio al nuovo. Parla a chi tra le macerie di una catastrofe trova lo spazio e la forza per ricostruire.