FUORI – EPISODIO 6 – ALLE RADICI DELLE TENSIONI TRA SERBIA E KOSOVO

SESTA PUNTATA: ALLE RADICI DELLE TENSIONI TRA SERBIA E KOSOVO

  • Le motivazioni dei contrasti tra i due Paesi balcanici
  • La missione “Kosovo Force”
  • La guerra delle targhe

 

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Buongiorno a tutti,

io sono Giulia Zamponi, giornalista di MasterX, la testata del Master in Giornalismo IULM, e questo è Fuori, il mondo oltre i nostri confini, un podcast che parla di esteri.

È giovedì 22 giugno 2023. Benvenuti alla sesta puntata. Oggi parleremo delle continue tensioni al confine tra Serbia e Kosovo, che ormai vanno avanti da mesi e non accennano a fermarsi.

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Il confine tra Serbia e Kosovo è invaso da manifestanti ormai da vari mesi. Gli elementi che hanno fatto scoppiare le tensioni che già erano sotto pelle, sono stati essenzialmente tre. Le elezioni politiche del 23 aprile, le due stragi a inizio maggio e la presenza delle forze armate kosovare al confine tra i due Paesi.

Si contano sette settimane di protesta, che è scoppiata inizialmente in risposta a due gravi sparatorie di massa consecutive all’inizio di maggio: avevano provocato la morte di 18 persone e il ferimento di altre 20, molte delle quali erano studenti di una scuola elementare di Belgrado. Attacchi armati di questo tipo in Serbia sono molto rari. È da questo momento che sono partite le manifestazioni per chiedere leggi più stringenti contro la vendita delle armi.

La Serbia avrebbe arrestato recentemente tre poliziotti kosovari accusandoli di essere entrati irregolarmente in territorio serbo, in violazione degli accordi internazionali. Il Kosovo, da parte sua, nega che i poliziotti fossero in territorio serbo e accusa le forze serbe di avere rapito i poliziotti. Secondo Belgrado, i tre poliziotti arrestati sarebbero stati membri della “polizia speciale” del Kosovo. Questo corpo armato si trova soprattutto nelle cittadine a maggioranza serba nel nord del Kosovo, è esclusivamente di etnia albanese ed è attivo dal 2021 a Leposavić. Il governo centrale del Kosovo la ritiene un corpo di sicurezza che lavora in contesti difficili, in cui le provocazioni e le violenze dei kosovari di etnia serba sono frequentissime. “La sua presenza è necessaria per contenere le gang criminali serbe che operano in quelle zone”, ha affermato.

E ora arriviamo alla terza parte. Il Kosovo, con i suoi 1,8 milioni di abitanti, presenta una minoranza serba nelle sue regioni a nord (circa 120mila) e una maggioranza albanese nel centro-sud, divise dal fiume Ibar. Il 23 aprile scorso si sono tenute le elezioni amministrative, ma in varie città a maggioranza serba sono state boicottate dai serbi stessi, non partecipando, in una forma di protesta per chiedere maggiore autonomia allo stato centrale. L’affluenza è stata quindi del 3,47%. Questo ha portato all’elezione di 4 sindaci di etnia albanese. Da lì sono scoppiate rivolte in tutte le quattro città coinvolte. Oggi, i sindaci eletti vanno in municipio con la scorta armata e seguiti da idranti che disperdono i protestanti. Ma questa è una situazione che si ipotizzava potesse diventare realtà da almeno due anni.

Si sono quindi succeduti scontri violenti tra manifestanti serbi e forze NATO. 38 soldati italiani e ungheresi hanno subito fratture e ustioni a causa di esplosioni di bombe incendiarie. I soldati italiani sono 14, tutti alpini del 9 reggimento L’Aquila. Il comandante di KFOR, il generale Michele Ristuccia dell’esercito italiano ha invitato i Presidenti dei due Paesi, rispettivamente Aleksandr Vucic della Serbia e Albin Kurti del Kosovo a mettere da parte “l’inutile retorica” e ad affrontare questa sfida ai tavoli dei negoziati. Con il termine KFOR, “Kosovo Force” si indica la missione NATO con quasi 4.000 soldati attivi in Kosovo. È una missione internazionale per stabilizzare il paese, iniziata il 12 giugno 1999.

In quegli anni, tra il ‘98 e il ‘99 fu combattuta una guerra tra l’esercito jugoslavo, controllato dai serbi, e i ribelli kosovari albanesi, che volevano separarsi. Il conflitto, cioè la guerra d’indipendenza, terminò dopo l’intervento della NATO che bombardò la Serbia costringendo le sue forze a ritirarsi dal territorio kosovaro.

Nel 2008 il Kosovo dichiarò l’indipendenza dalla Serbia, che fu riconosciuta dagli Stati Uniti e da vari paesi dell’Unione Europea, ma non dai serbi e dai paesi loro alleati, come la Russia e la Cina. La Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Belgrado dal canto suo, non riconosce il governo di Pristina.

Negli anni, si sono tenuti vari incontri bilaterali per la firma di accordi di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Nel 2013 si sono svolti gli accordi di Bruxelles, il primo accordo tra Serbia e Kosovo. A marzo scorso invece, in Macedonia siamo arrivati a un possibile compromesso: Belgrado dovrebbe non opporsi più all’ingresso del Kosovo negli organismi internazionali, mentre Pristina dovrebbe concedere ai serbi nel paese la possibilità di federarsi in una Comunità dei municipi serbi, prevista da precedenti trattati. L’accordo sarebbe stato raggiunto ma i due premier non lo hanno firmato.

Alla fine del 2022 è stato trovato anche un accordo sulle targhe da usare nelle città kosovare a maggioranza serba: le autorità di Pristina hanno vietato di circolare alle auto con targhe serbe, che devono quindi fermarsi al confine, svitare la targa e metterne una kosovara. Le restrizioni riguardano anche automezzi vuoti ma che abbiano targa serba. Ai valichi di frontiera resta il divieto imposto da Pristina sull’ingresso in Kosovo di camion con merce proveniente dalla Serbia. Per i serbi kosovari invece, le targhe automobilistiche erano diventate nel corso degli anni un simbolo di fedeltà alle istituzioni serbe.

A Belgrado, decine di migliaia di persone si ritrovano ogni sabato alle 18 davanti al Parlamento per richiedere le dimissioni del Presidente Vucic, accusandolo inoltre di comprimere la libertà di opinione e gli spazi dell’opposizione. Chiedono di fermare la violenza e la disinformazione sui tabloid filogovernativi e sulle Tv private. Vucic è diventato primo ministro nel 2014, nove anni fa e presidente del Paese nel 2017. I manifestanti si oppongono a lui perché usa una retorica simile a quella di altri governi autoritari dell’Europa orientale sui diritti dei migranti e della comunità LGBT+. Lo scorso anno il governo serbo cancellò addirittura l’EuroPride, citando pressioni da partiti di destra e dalla potentissima Chiesa ortodossa locale.

 

Si conclude qui questa puntata, grazie per aver seguito Fuori! Appuntamento alla prossima settimana con le notizie dal mondo!

 

Giulia Zamponi

Toscana, classe 1990, sono approdata a Milano per inseguire il mio sogno: il giornalismo. All’Università di Pisa mi sono laureata in Informatica Umanistica, dove ho imparato a trattare i contenuti culturali in forma digitale e a comunicarli attraverso le varie piattaforme web. Sono una giornalista pubblicista e ho collaborato con “Il Tirreno”: la prima volta che sono entrata in una redazione mi sono resa conto che non sarei mai più voluta uscire. Adesso giornalista praticante per MasterX. Mi interesso principalmente di esteri e di criminologia: mi piace analizzare ogni particolare di una situazione e indagare sugli aspetti più nascosti della realtà. Sono un’anima solare, sensibile e determinata. Amo l’intensità dei tramonti, gli intricati thriller di Joel Dicker ed il rumore delle onde del mare.

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