Sánchez non si dimette: «Lavorerò senza sosta per la democrazia»

Pedro Sánchez non si dimette. Dopo cinque giorni di riflessione il primo ministro spagnolo ha annunciato «di aver deciso di continuare alla guida del governo di Spagna». Sanchez aveva messo in discussione la continuità del suo incarico a seguito delle accuse di traffico di influenze e corruzione mosse contro la moglie Begoña Gómez. Giovedì 25 aprile il premier aveva, infatti, diffuso sui social una “lettera alla cittadinanza”, dove chiedeva qualche giorno per riflettere sul futuro dopo «le accuse su fatti inesistenti dell’estrema destra». 

L’indagine
Begoña Gómez, la moglie di Sanchez
Begoña Gómez

Un terremoto durato qualche giorno. L’indagine stessa è stata archiviata poco dopo esser divenuta nota. Per il giudice non ci sono prove sufficienti in quanto la denuncia, mossa dall’organizzazione di estrema destra autodefinitasi sindacato Manos Limpias, era basata su notizie riportate dai media. L’indagine preliminare riguardava, infatti i presunti rapporti tra Begoña Gomez e alcune aziende private beneficiarie di appalti e fondi concessi dal governo. Nello specifico, secondo l’accusa a capo della fondazione IE Africa Center, Gomez avrebbe sfruttato la sua relazione con Sánchez per favorire l’azienda privata Globalia, proprietaria anche della compagnia aerea Air Europa. L’azienda aveva ottenuto un finanziamento di 475 milioni di euro dal fondo governativo SEPI, promosso per aiutare le imprese a riprendersi dalla pandemia da Covid-19. 

La reazione di Sanchez

Sánchez ha fin da subito inquadrato le accuse nella «strategia di demolizione che va avanti da mesi» e che sarebbe stata orchestrata dalla destra e dall’estrema destra per il risultato elettorale «non accettato». Il premier ha anche parlato di una vera e propria «macchina del fango» che asseconderebbe il desiderio dell’opposizione di «trasformare la politica in un pantano». Le accuse «senza precedenti» hanno, quindi, spinto il premier a fermarsi per qualche giorno per riflettere sul suo futuro alla guida del governo.

Sánchez ha, quindi, postato sui social una lettera di quattro pagine, ha cancellato gli impegni istituzionali e ha continuato a lavorare in silenzio nel palazzo della Moncloa. I suoi ministri gli sono stati vicino, compresa la vicepremier Maria Jesus Montero che lo ha descritto abbattuto e provato. Grande sostegno anche da parte della popolazione: circa 12.500 persone hanno chiesto al premier di rimanere scendendo in piazza sabato a Madrid.

I possibili scenari e la decisione

Sánchez ha tenuto tutti con il fiato sospeso per cinque giorni, lasciando la Spagna a chiedersi quale scenario avrebbe dovuto fronteggiare. Considerando che il premier non avrebbe potuto sciogliere le camere fino al 29 maggio, perché per la legge spagnola deve passare almeno un anno tra uno scioglimento e l’altro, rimanevano solo tre ipotesi: le dimissioni, con conseguente governo provvisorio guidato dalla vicepremier Montero, le elezioni anticipate o la riconferma.

Sánchez alla fine ha scelto di non abbandonare il Paese: «forte del sostegno giunto da più parti ho deciso di continuare a lavorare alla presidenza del governo spagnolo con fermezza e serenità». Il premier ha anche chiesto alla società spagnola di «tornare a essere esempio e ispirazione per un mondo convulso e ferito», contro mali presenti non solo in Spagna ma che farebbero parte di «un movimento reazionario mondiale che aspira a imporre un’agenda regressiva mediante diffamazione e falsità, odio, paura e minacce». È anche per questo che Sánchez ha scelto di restare e di tornare a lavorare «senza sosta per i diritti, la libertà e la democrazia».

 

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