Neonato morto al Pertini, emerge la testimonianza di un’altra mamma: è carenza di assistenza?

Non è stata un’infermiera, bensì un’altra mamma, ad accorgersi della tragedia avvenuta all’ospedale Pertini di Roma durante la notte dell’8 gennaio. La storia di Carlo Mattia, il neonato che a tre giorni dalla nascita è morto soffocato durante l’allattamento, aveva sconvolto l’opinione pubblica. Soprattutto per aver acceso i riflettori sul tema della scarsa efficienza del personale sanitario. Secondo una prima ricostruzione la mamma del piccolo, una trentenne, sarebbe stata lasciata sola per diverso tempo mentre allattava, senza ricevere alcun tipo di supporto da medici ed infermieri. A quel punto si sarebbe addormentata, schiacciando il corpo del neonato.

Il fatto che sia stata un’altra paziente e non un’infermiera, come era stato ipotizzato, conferma ulteriormente la tesi degli inquirenti, secondo i quali il neonato potrebbe essere morto a causa della scarsa vigilanza dei sanitari.

Il racconto della testimone

È l’una di notte. La testimone, una donna che condivide la camera con la mamma di Carlo Mattia, si gira verso la compagna di stanza. Non riuscendo a scorgere il corpo del piccolo la chiama, ma non riceve risposta. A quel punto lancia l’allarme. Un’infermiera si precipita nella stanza e prende il bambino. Ormai, però, Carlo Mattia è morto. I primi riscontri dell’autopsia confermano il soffocamento come causa del decesso, anche se per certificarlo mancano ancora gli esami istologici del professor Luigi Cipolloni.

Carenza di assistenza sanitaria?

La neomamma afferma di aver chiesto aiuto, sfinita dopo un travaglio durato più di dieci ore e un parto naturale, ma «non è mai arrivato nessuno». Gli infermieri si sono rifiutati di riportare il neonato nella nursery? È questo l’aspetto su cui la pm Maria Sabina Calabretta dovrà indagare. L’accusa è di omicidio colposo in ambito sanitario, attualmente contro ignoti. Da chiarire anche l’assenza della relazione dell’anatomopatologo del Pertini: si tratta di una dimenticanza o è stata una mancanza voluta?

La mamma di Carlo Mattia non è indagata. Nonostante il protocollo dell’ospedale vieti alle madri di dormire con i propri neonati, il personale sanitario deve vigilare sui pazienti, proprio per evitare che incidenti simili possano capitare. A rendere difficile questo compito, però, è il numero inadeguato di ostetriche del Pertini: delle 30 presenti nell’organico dell’ospedale «cinque sono in maternità e altre cinque in 104», dichiara Michele Cipollini, territoriale Uil Asl Roma 2. Sono quindi in 20 a occuparsi di 26 posti letto, per un totale di 52 pazienti tra mamme e neonati.

 

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GOOGLE ACCUSATA DI MONOPOLIO DELLA PUBBLICITÀ DIGITALE NEGLI USA

Brutte notizie per Google: dopo i 12 mila licenziamenti annunciati la scorsa settimana, il Dipartimento di Giustizia (DoJ) e otto Stati USA, tra cui New York, California e Virginia, accusano il gigante tech di Mountain View di monopolio illegale sul mercato della pubblicità online. La denuncia chiede al tribunale di obbligare il gruppo californiano a separare le sue attività in campo pubblicitario dalle altre attività dell’azienda, in un procedimento chiamato “spezzatino”. In sostanza, Google dovrà dissociare il suo servizio che gestisce la compravendita di pubblicità online (Google Ad manager), cedere la piattaforma di scambio degli annunci (AdX) e disinvestire dalle acquisizioni giudicate anti-competitive come quella di DoubleClick del 2008 e AdMon del 2009.

Le accuse

Secondo il Governo, Google ha affermato la propria posizione dominante “neutralizzando o eliminando” i rivali tramite acquisizioni e costringendo gli inserzionisti a utilizzare i suoi prodotti. Così facendo, avrebbe reso difficile utilizzare i servizi offerti dai concorrenti. Nell’accusa presentata all’antitrust il procuratore generale sottolinea che «Google ha perseguito una condotta anti-concorrenziale per 15 anni» e, così facendo «ha scoraggiato l’innovazione nell’industria della pubblicità digitale impedendo al libero mercato di funzionare in modo equo».

I precedenti

L’azione legale sarà il secondo caso aperto dal dipartimento contro Google per ragioni monopolistiche: già nel 2020 l’amministrazione Trump aveva citato in giudizio il gruppo guidato da Sundar Pichai sostenendo che attuava pratiche commerciali anti-concorrenziali nel settore delle ricerche online. Il processo è atteso per il prossimo settembre.

Per Google, questa è la quinta grande causa negli Stati Uniti che mette in discussione le sue pratiche commerciali. L’azienda è già stata accusata di esercitare una posizione dominante nel mercato delle ricerche online (attraverso l’omonimo motore di ricerca), in quello della pubblicità e in quello delle applicazioni per dispositivi mobili che utilizzano il sistema operativo Android (sviluppato da Google). 

La difesa della società

Con un post sul proprio blog ufficiale, l’azienda di Mountain View ha rigettato le accuse dichiarando che la causa «si basa su un’argomentazione errata che rallenterà l’innovazione, aumenterà le tariffe pubblicitarie e renderà più difficile la crescita di migliaia di piccole imprese e editori». Inoltre, Google contesta la definizione di “soggetto dominante” affermando, al contrario, che il settore della pubblicità online sia molto competitivo. Tra le aziende rivali individuate dalla società ci sono Meta (proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp), Amazon e Microsoft (che gestisce un servizio di advertising precedentemente noto come “Bing Ads”).

La denuncia punta a fare luce sulla gestione della pubblicità da parte di Google, che ricava dalle inserzioni l’80% dei suoi guadagni. In particolare, il gigante tech nasconderebbe la percentuale trattenuta e la cifra che destina alle testate giornalistiche online. Gli abusi di posizioni dominanti da parte di Google sono stati oggetto di indagini e provvedimenti anche nell’Unione Europea. Lo scorso settembre la società è stata multata per complessivi 8 miliardi di euro in tre diverse procedure.