Donald Trump sta per tornare nello Studio Ovale portandosi dietro una valigia piena di dazi. Dazi che se verranno applicati nei confronti dell’eurozona ridurrebbero la crescita europea di circa 1,5 punti percentuali, il che si tradurrebbe in una potenziale perdita economica di 260 miliardi di euro sulla base del Pil europeo. Ma anche in un aumento del prezzo degli import dagli Stati Uniti.
Dazi su dazi
Il neo eletto Trump, si sa, non ama perdere. E non ama nemmeno vedere il piatto della bilancia che pende da un lato diverso da quello degli Stati Uniti. Come nel caso della bilancia commerciale fra Unione Europea e USA che vede il Vecchio Continente avere una posizione nettamente vantaggiosa con un’eccedenza di 156 miliardi di euro. Tuttavia, l’eventuale inasprimento dei rapporti commerciali potrebbe ribaltare questa situazione. E a soffrirne di più sarebbero proprio le economie dell’eurozona, che rischierebbero una riduzione del Pil compresa tra l’1% e l’1,6%, con inevitabili ripercussioni sui livelli occupazionali e sugli investimenti industriali.
Un dazio generalizzato, infatti, renderebbe meno competitivi i prodotti europei sul mercato statunitense, mettendo sotto pressione comparti strategici. Ad esempio, l’industria chimica e quella dei macchinari industriali potrebbero subire perdite pesanti, compromettendo uno degli ambiti in cui l’Europa ha un saldo positivo rispetto agli USA. Ma i problemi non finirebbero qui, anche le industrie agroalimentari e della moda sarebbero attaccate, alzando i prezzi del made in Italy.
L’impatto, però, non si fermerebbe alle esportazioni. Come detto precedentemente, il rallentamento delle industrie esportatrici si tradurrebbe in una contrazione della produzione, perdita di posti di lavoro e riduzione dei consumi interni.
L’intero blocco dell’eurozona, infatti, rischierebbe una fase recessiva, proprio in un momento in cui si cerca di consolidare la ripresa post-pandemia e affrontare le sfide della transizione energetica. Ma mentre le prospettive di una guerra commerciale restano per ora un’ipotesi, la posta in gioco per l’Europa non potrebbe essere più alta. Una partnership transatlantica, per quanto complessa, resta vitale per preservare la stabilità economica e geopolitica.
Import dagli USA: effetti dei dazi sull’export
Ma se i dazi annunciati da Trump riguardano l’import negli USA, come possono influenzare l’economia europea al punto di produrre riduzioni sostanziali del Pil e aumentare il prezzo degli import in Europa?
Se la crescita del Vecchio Continente dovesse vacillare, la Banca Centrale Europea (BCE) potrebbe essere costretta a intervenire in modo aggressivo, tagliando i tassi di interesse fino a sfiorare lo zero entro il 2025. Una mossa di questo tipo segnerebbe un nuovo capitolo nella già lunga storia di politiche monetarie espansive dell’Eurozona.
Dall’altra parte dell’Atlantico, la Federal Reserve (Fed) statunitense potrebbe seguire una traiettoria completamente opposta. La solida crescita economica degli Stati Uniti, unita a un’inflazione relativamente sostenibile, spingerebbe infatti la banca centrale americana a proseguire con i rialzi dei tassi d’interesse. Questo scenario darebbe vita a una delle più marcate e durature divergenze di politica monetaria tra BCE e Fed dall’introduzione dell’euro nel 1999.
Il risultato? Un euro più debole rispetto al dollaro. Da un lato, quindi, una valuta europea più fragile potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per gli esportatori dell’Eurozona. Rendendo i loro prodotti più competitivi sui mercati internazionali. Dall’altro, però, il contraccolpo si farebbe sentire sui costi delle importazioni, che lieviterebbero, con un impatto diretto sulle imprese e sui consumatori europei.
La sfida per la BCE sarà dunque trovare un equilibrio tra il sostegno alla crescita economica e l’impatto di un euro debole, in un contesto internazionale sempre più incerto. Una scelta che potrebbe ridefinire le dinamiche economiche e finanziarie tra Europa e Stati Uniti nei prossimi anni.