Nel primo semestre del 2025 il dollaro ha avuto l’inizio d’anno peggiore dal 1973. Il crollo della valuta più importante del mondo ha tante ragioni: tra queste, i conflitti in corso, l’aumento del debito americano, il Liberation Day del presidente Donald Trump e la “guerra dei dazi” scatenatasi successivamente.
La fine degli accordi di Bretton Woods
Correva l’anno 1971. In un discorso alla nazione, la sera del 15 agosto, il presidente Richard Nixon annunciò la fine della convertibilità del dollaro in oro. Crollava uno dei pilastri dell’economia mondiale del Dopoguerra. Il legame tra dollaro e oro risaliva agli accordi di Bretton-Woods, quando gli Stati Uniti si erano impegnati ad associare la loro moneta all’asset per eccellenza dell’economia mondiale.

Il nuovo sistema, che avrebbe determinato la creazione del Fondo Monetario Internazionale e fissato i cambi tra il dollaro e le altre valute, sanciva così un nuovo regime per il commercio a livello globale. Un regime liberista, con barriere ridotte al minimo e una fisiologica crescita dell’inflazione.
Giustificando la misura come un rimedio contro la disoccupazione e l’inflazione, Nixon ottenne ampi consensi e la riconferma come presidente alle elezioni del 1972. Il nuovo sistema di cambi flessibili, però, doveva ancora far vedere tutte le sue conseguenze e nei mesi successivi il dollaro accusò il colpo. Il valore dell’oro cominciò a oscillare, mentre la moneta americana non teneva più il passo. Fu un crollo senza precedenti e senza successori, almeno fino a quest’anno.
La svalutazione nel primo semestre del 2025
La delicata situazione dei primi anni Settanta, generata come effetto collaterale del passaggio da un sistema a un altro, sembrava irripetibile. Così non è stato. Negli ultimi sei mesi, infatti, l’US Dollar Index, un indice che misura il valore del dollaro in rapporto a un paniere di valute straniere, è precipitato di oltre 10 punti, passando dal 108,49 del 1° gennaio al 96,88 del 30 giugno.
Per un confronto più semplice, si può guardare l’andamento del dollaro in relazione al solo euro. Il primo dell’anno un dollaro corrispondeva a 97 centesimi di euro; sei mesi dopo il cambio è 0,85. In termini concreti, il significato è cristallino: per i cittadini che provengono da Paesi dell’Eurozona (tra cui ovviamente l’Italia) viaggiare negli Stati Uniti e fare acquisti in dollari è diventato più conveniente, mentre per gli statunitensi venire in Europa e investire costa di più.
Le ragioni del crollo del dollaro
Ma quali sono le cause di questo indebolimento? A voler cercare un parallelismo con il 1973 si potrebbe trovare anche per il 2025 un cambio di regime economico. I “dazi reciproci” introdotti da Trump in aprile hanno provocato – o quantomeno minacciato, viste le ritrattazioni successive – la fine del tradizionale liberismo americano.

Il risultato è un’instabilità della moneta americana, aggravata dagli scambi intercorsi, per esempio, tra Trump e Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, la Banca centrale americana.
Secondo gli analisti, l’insediamento del tycoon aveva inizialmente incontrato la soddisfazione dei maggiori investitori, ingolositi da un presidente potenzialmente molto propenso a politiche di crescita dell’economia. Ma le decisioni della nuova amministrazione, già nelle primissime settimane, hanno gettato nel panico i mercati e scoraggiato gli investitori. L’imposizione di dazi su merci e Paesi importatori, in particolare, ha spinto i flussi di capitale lontano dagli Stati Uniti.
Su tutto questo pesa anche lo spettro dell’aumento del debito pubblico americano, arrivato al suo massimo storico nel 2025. Ma questa cifra, pari già oggi al 130% del Pil, potrebbe salire ancora, se passasse quella “One Big, Beautiful Bill Act”, la “grande, bellissima legge”, voluta da Trump, che comporterebbe, tra le altre cose, un taglio alle tasse pagate dalle fasce con reddito più alto. Un’altra mossa rischiosa firmata da Donald Trump, che da presunto business-man alla Casa Bianca si sta trasformando nell’incubo degli investitori.