Israele, per Netanyahu Rafah è indispensabile e sale la tensione con gli USA

«Ho fatto capire nella maniera più chiara possibile al presidente Biden che siamo determinati a eliminare i battaglioni di Hamas a Rafah. E non c’è modo di farlo se non con un’invasione di terra». Benjamin Netanyahu è perentorio. Nonostante le pressioni statunitensi e degli alleati, il primo ministro israeliano non rinuncerà all’invasione di terra nell’ultimo insediamento della Striscia di Gaza.

Cosa succede tra Washington e Tel Aviv

La guerra tra Israele e Hamas si combatte su due fronti: militare e diplomatico. Sempre più isolato nell’arena internazionale e con i consensi in calo in patria, Bibi Netanyahu cerca di mantenere l’equilibrio tra il sostegno americano e le fazioni più estreme della sua coalizione di governo, con risultati discutibili.

L’ultimo scontro con Washington è arrivato il 19 marzo. Durante un colloquio telefonico con Joe Biden, Netanyahu aveva accettato di mandare un team di diplomatici israeliani a Washington per discutere la situazione di Rafah. Il giorno dopo, Bibi ha però cambiato idea e ha confermato che non ci sono alternative. Per distruggere Hamas serve andare con i boots on the ground a Rafah.

Lo scontro arriva dopo le dichiarazioni del senatore americano Chuck Schumer contro Netanyahu. Il deputato ha dichiarato che  senza nuove elezioni per sostituire Bibi un processo di pace effettivo sarà impossibile, sconvolgendo gli  osservatori d’oltre oceano. Schumer è, infatti, uno storico sostenitore della causa israeliana. Come definite da Thomas Friedman sul New York Times, le sue dichiarazioni sono un vero e proprio elefante che vola. In gergo, un evento nuovo e inaspettato che non può passare inosservato. Indice che per gli Stati Uniti i rifiuti di Netanyahu sono diventati una minaccia per gli obiettivi di politica estera e per Biden un serio ostacolo per la campagna elettorale.

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Il senatore democratico USA Chuck Schumer, storico sostenitore della causa israeliana.
La situazione sul campo

Nonostante gli scontri diplomatici e l’inizio del Ramadan, la campagna militare delle Israel Defense Forces (IDF) nella Striscia prosegue mantenendo i due obiettivi principali: eliminare i vertici di Hamas e completare la campagna di terra.

Il 18 marzo, il Consigliere per la Sicurezza americana Jake Sullivan ha dichiarato che Marwan Issa, comandante dell’ala militare di Hamas a Gaza e uno degli architetti del Diluvio Al Aqsa, è stato ucciso da un raid mirato di Tel Aviv. Si tratta dell’ufficiale di più alto rango ucciso finora da Israele.  Issa aveva cinquantanove anni e alle spalle undici anni di servizio come vicario di Mohammed Deif, nome in codice “il Fantasma”, il principale ideatore degli attacchi del 7 ottobre.

Dal lato della campagna militare, per ora il bilancio delle vittime si attesta su 1500 morti circa per Israele e 31.000 per Gaza. Un eventuale attacco a Rafah potrebbe ulteriormente aggravare la situazione. Nell’insediamento al confine con l’Egitto si sono rifugiati più di un milione di civili che, fin dall’inizio della guerra, si sono spostati progressivamente a sud. Secondo le Nazioni Unite, aumentano anche i rischi di una severa carestia nell’enclave, dove molte persone sono costrette a usare il mangime per animali per fare il pane.

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Il leader di Hamas Yayha Sinwar.

Tutto questo rende più indispensabile che mai un accordo per il cessate il fuoco, che sembra però ancora lontano. David Barnea, capo del Mossad e negoziatore per Tel Aviv, è tornato il 19 marzo dall’ultimo round di trattative a Doha. I diplomatici egiziani e qatarioti hanno agito da intermediari per Hamas e confermato che non c’è stato alcun passo in avanti particolarmente rilevante. Majed Al Ansari, portavoce del ministero degli esteri del Qatar, si è dichiarato comunque «cautamente ottimista». Ora, occhi puntati sul prossimo round, a cui, secondo alcune voci, potrebbe partecipare anche Yahya Sinwar, il leader di Hamas.

Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica internazionale, terrorismo, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Conrad, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson.

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