La fine del regime di Assad in Siria, crollato dopo l’avanzata fulminea degli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), è stata accolta con ottimismo dalla maggioranza degli Stati e delle istituzioni occidentali.
Per citare solo alcune dichiarazioni, il Presidente francese Emmanuel Macron ha omaggiato «il coraggio» e «la pazienza» del popolo siriano. L’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione Europea Kaja Kallas ha parlato di «uno sviluppo positivo e atteso da tempo», mentre il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha addirittura definito la conquista di Damasco da parte di Hts come «un’opportunità storica» per costruire un futuro pacifico e stabile.
Ma l’avanzata di un gruppo islamista sunnita, ex-affiliato di Al Qaeda, con alle spalle anni di atrocità commesse in Siria, può essere accolta veramente con ottimismo? O si rischia di cadere nel vecchio adagio realista de il nemico del mio nemico è mio amico?
MasterX lo ha chiesto a Luigi Toninelli, ricercatore ISPI dell’osservatorio Medioriente e Nord Africa.
L’ottimismo mostrato dai leader occidentali è reale o di facciata?
«Credo che ci sia un ottimismo reale da parte di alcuni leader, che non stanno capendo ancora esattamente quello che è successo. Gioiscono per la caduta del governo di Assad e, forse, si stanno facendo ingannare da quello che potrebbe fare al Julani (il leader di Hayat Tahrir al Sham, ndr.). Magari al Julani diventerà veramente una figura di dialogo all’interno del Paese e riuscirà a riportare la Siria alla pace. Al momento, però, mi sembra molto presto per dirlo e quindi andrei molto più con i piedi di piombo».
Si rischia il paradosso one man terrorist is another man freedom fighter.
«Sì, siamo esattamente a questo punto. Si rischia di trasformare un gruppo terroristico in un movimento nazionalista. È vero che la distruzione causata da Hayat Tahrir al-Sham è stata nettamente inferiore rispetto a quella del governo di Assad. Tutti dovremmo essere felici per la fine del regime. Assad ha usato armi chimiche, bombardato a tappeto la popolazione, ha provocato migliaia di morti non solo in Siria ma anche in Libano. Ma attenzione a santificare i militanti di Hts. La loro origine rimane di stampo qaedista e, nonostante si siano separati da al-Qaeda, il loro legame è ancora controverso. L’organizzazione fondata da Bin Laden continua a congratularsi con Hts per i suoi successi politici e militari, quindi non è chiaro se questo cordone ombelicale sia stato reciso oppure no».
Il leader al Julani sta tentando, però, di mostrare una faccia diversa del movimento.
«Quello che possiamo dire è che il leader ha cercato nel corso degli ultimi anni di fare un rebranding del gruppo. Ha cercato di porsi come un interlocutore volto al dialogo nazionalista, propenso a garantire il rispetto dei diritti di tutte le confessioni e delle minoranze. E ha cercato di allontanarsi da tutto quello che era il jihadismo militante, assumendo quasi un’identità di islamismo militare nazionalista. In poche parole, ha cercato di non adottare più la retorica jihadista per porsi come opposizione armata ma non più terrorista».
È una possibilità plausibile?
«Bisognerà vedere. Ovviamente ora gli occhi sono tutti puntati su di lui, sicuramente ha vinto questa fase della guerra civile siriana. Non è ancora detto che sia conclusa, però. Sicuramente è finita l’era Assad. Ora vedremo se rispetterà quello che ha detto di voler fare o se si aprirà una nuova fase del conflitto».
Hayat Tahrir al-Sham non è stato, però, l’unico gruppo attivo.
«Sì, il fronte comprende varie milizie che si sono consorziate in questa alleanza anti-Assad. Volendole descrivere, da un lato abbiamo l’insieme delle milizie afferenti agli ex-qaedisti, ovvero quelli che hanno preso il controllo di Damasco. Dall’altro, ci sono le milizie filo-turche presenti nel nord-ovest del Paese, un altro gruppo che porta avanti azioni a ovest dell’Eufrate. Il loro obiettivo è cacciare i curdi a est del fiume e stanno avanzando in queste ore. In ultimo, ci sono le forze curde filo-statunitensi».
Che ruolo ha avuto la Turchia?
«La Turchia al momento si sta intestando la vittoria. Avere un alleato a Damasco è senza dubbio favorevole. I legami tra Hts e Ankara sono, però, molto meno forti di quanto si voglia credere. La Turchia ha legami stretti con le milizie filo-turche nel nord-ovest del Paese che stanno continuando a combattere contro i curdi. Il loro obiettivo è creare una zona cuscinetto lungo il confine settentrionale con la Siria per evitare la penetrazione di combattenti del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ndr.) e arginare possibili flussi di rifugiati siriani. Bisognerà capire quanto al Julani sarà interessato a portare avanti un’agenda filo-turca o quanto sarà capace di destreggiarsi nei vari interessi regionali e internazionali».
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La Russia come esce dal conflitto in Siria?
«È stata enormemente sconfitta, perché nonostante sembra stia riuscendo a mantenere le basi di Latakia e di Tartus, ha perso un governo amico in Medio Oriente e la sua presenza nella zona è stata ridimensionata. Detto ciò, Erdogan ora potrà ritagliarsi un ruolo di mediatore in Ucraina. Però per poter fare previsioni occorre aspettare l’arrivo di Trump alla Casa Bianca».
Lo smantellamento di Hezbollah e l’impegno totalizzante dell’Iran in Israele hanno influito anche sulla Siria?
«Sicuramente, l’indebolimento di Hezbollah e l’impegno dell’Iran hanno favorito la capitolazione del governo di Assad. Detto ciò, l’ipotesi che Israele abbia concordato l’avanzata con i ribelli è da escludere. Ricordiamoci che Bashar el Assad negoziava con Israele e questo nuovo governo, che ancora non esiste, deriva dalla galassia jihadista che, ovviamente, ha avuto sempre posizioni estremamente critiche nei confronti di Israele. Quindi potrebbe non essere positivo nemmeno per Tel Aviv. Per ora, però, lo Stato Ebraico ha sfruttato la dissoluzione dei controlli alle frontiere per controllare il lato siriano del Monte Hermon, nel Golan. E non è chiaro se abbandonerà il territorio».