Se c’è una lezione che un anno di guerra in Ucraina ha insegnato è che i conflitti, nel 2023, non si vincono solo con la superiorità numerica o tecnologica. Come in tutto il resto, ci vuole equilibrio. Che, al momento, sembra mancare su entrambi i lati del fronte.
Da dove siamo partiti
La guerra fredda era stata accompagnata da una costante corsa agli armamenti. Gli arsenali della NATO e del Patto di Varsavia erano costantemente colmi di missili, carri armati, aerei e navi in quantità oggi anacronistiche. I militari in servizio, complici i regimi di leva obbligatoria attivi in diversi Paesi, si contavano nell’ordine delle centinaia di migliaia anche nelle nazioni più piccole.
Va da sé che, per superare la possibile parità numerica, gli avversari puntassero tantissimo sull’innovazione tecnologica. In media, quasi ogni 15 anni veniva introdotta una nuova classe di navi da guerra, più moderna e sofisticata della precedente. Ogni otto entravano in servizio aerei da combattimento più veloci ed avanzati. Sempre nello stesso intervallo di tempo avvenivano aggiornamenti sostanziali nei mezzi terrestri. Per non parlare dei missili, l’arma per eccellenza della guerra fredda, che comparivano continuamente in versioni migliorate o del tutto nuove.
Dove ci siamo spostati
Con il crollo del muro di Berlino (1989) la frenesia delle armate di mezzo mondo venne meno. Gradualmente venivano ridotti gli organici e le riserve di armamenti. Gli anni ’90 e i primi 2000 videro il concretizzarsi di progetti senza dubbio modernissimi, ma figli di programmi più vecchi, rallentati dal diminuire delle necessità operative di tutti i Paesi. Un esempio su tutti il cacciabombardiere americano F-22, invisibile ai radar. Entrato in servizio nel 2003, il velivolo era stato progettato a partire dal 1981. Per fare un paragone il suo predecessore diretto, l’F-15, entrato in linea nel 1976 dopo essere stato studiato a partire dal 1968. Otto anni contro 21.
Che bisogno c’era di investire massicciamente nella Difesa, in un mondo pacifico e in cui le guerre si combattevano contro Stati peggio armati o organizzazioni terroristiche? I programmi più avanzati che esistevano erano sufficienti, e quelli non ancora conclusi potevano arrivare a conclusione con maggiore calma.
In contemporanea, gli organici scendevano. Meno armamenti, e per giunta abbastanza moderni, significavano meno persone necessarie per utilizzarli. Dalla coscrizione si passava al professionismo. I reparti chiudevano i battenti, le basi venivano abbandonate. Almeno fino a anni recenti.
Dove siamo arrivati
Negli ultimi dieci anni la visione è cambiata per due motivi principali.
Da una parte molti Paesi, che un tempo dipendevano strettamente dalle tecnologie dei due blocchi (occidentale e orientale), hanno iniziato a rendersi indipendenti e a puntare a una maggiore parità militare con le grandi potenze di un tempo. Cina in testa, ma anche India, Giappone, Corea del Sud e molti altri hanno costruito delle nuove forze, numeriche e tecnologiche. Questo, ovviamente, ha messo in allarme anche le altre potenze, costringendole a rivedere le proprie strategie di lungo periodo dall’emergere di nuovi potenziali avversari.
Dall’altro lato, la crescente instabilità internazionale e l’acuirsi di conflitti da tempo sommersi (Ucraina in primis, ma anche Taiwan, Nagorno-Karabakh, Siria e molti altri) hanno spinto tutti gli Stati a riconsiderare le proprie condizioni militari. Alcuni hanno puntato a un progressivo accrescimento delle proprie forze, a livello di personale e armamenti. Altri hanno scelto la via della modernizzazione, aumentando gli sforzi nella ricerca e nello sviluppo di sistemi più avanzati e letali. Si tratta, in ogni caso, di processi ancora in corso.
La lezione ucraina
Quando il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina quasi tutto il mondo ha pensato che Mosca avrebbe presto avuto la meglio. Oltre due milioni di uomini e donne nelle forze armate, migliaia di carri armati e aerei, oltre che una sostanziale superiorità navale conferivano ai russi tutte le carte in regola per annientare le modeste truppe di Kiev.
A non essere chiara era l’effettiva situazione delle armate di Putin. La quantità esorbitante di uomini e mezzi non è stata sufficiente a riequilibrare le lacune tecnologiche. Carri armati T-72 e T-80, residuati della guerra fredda. Veicoli per la fanteria risalenti agli anni 60. Strategie e tattiche figlie di una visione «analogica» della guerra, fatte di grandi avanzate terrestri e di bombardamenti a tappeto. Tutti fattori che hanno portato l’offensiva «lampo» a infrangersi contro il sottile muro di un esercito ucraino che, al contrario, dal 2014 si è preparato costantemente per fronteggiare le orde di Mosca.
Kiev ha giocato bene le sue carte: droni a basso costo ma ad elevata tecnologia; pochi mezzi, ma aggiornati agli standard più moderni possibili; un ottimo addestramento del personale (svolto anche in paesi occidentali). Grazie a tutto questo, l’avanzata è stata fermata. Poi, però, è arrivato lo stallo. Troppo schiacciante la superiorità numerica russa. E troppo efficaci le armi ucraine, presto integrate da sistemi di produzione occidentale, moderni e studiati appositamente per contrastare quelli di Mosca.
Dove ci porta il futuro
La lezione di questi 365 giorni di guerra è che, come in ogni aspetto della vita umana, anche nella guerra serve equilibrio. Sono lontani i tempi in cui avere armate enormi era un ottimo presupposto per vincere. Al contempo, non è sufficiente schierare solo sistemi avanzatissimi: la tecnologia costa, e non è affidabile al 100%.
I primi effetti di questo brusco risveglio sono già evidenti. I Paesi NATO stanno accelerando sull’aumento delle spese militari. L’obiettivo è accrescere le dimensioni delle proprie forze armate, oltre che velocizzare i programmi di ammodernamento già da tempo avviati.
Il rischio di altre guerre come quella in Ucraina è altissimo: ancora troppe nazioni sottovalutano il settore della Difesa, restando ancorate a dottrine e tecnologie ormai superate. Per uno Stato non è più possibile ignorare la necessità di un apparato militare efficiente, proporzionato e costantemente al passo con i tempi. L’illusione post-guerra fredda di un pianeta sicuro e pacifico è, ormai da un anno, definitivamente crollata.