Siria, l’avanzata dei ribelli conquista Hama e punta Damasco

In Siria prosegue l’azione di conquista dei ribelli che, dopo Aleppo, hanno raggiunto Hama. Questa è la terza città del Paese per popolazione, ma il suo valore nella jihad siriana è soprattutto simbolico e strategico. Come sempre in Medio Oriente, la situazione non è mai confinata al singolo Stato, ma attira gli interessi di altri attori politici, vicini e lontani. Essi, in questo caso, sono Turchia, Iran e Russia.

La presa di Hama
Il presidente siriano Bashar al-Assad, al potere dal 2000.

Non accenna a fermarsi l’offensiva dei ribelli in Siria. Dopo la presa di Aleppo, gli oppositori del regime di Bashar al-Assad hanno conquistato Hama, terza città del Paese. Lo ha comunicato l’esercito governativo, che ha ammesso di aver perso il controllo della zona e costretto le truppe a «ridistribuirsi fuori dalla città». A nulla è valso il supporto, anche militare, di Russia e Iran, unici Paesi a sostenere Assad senza riserve.

I gruppi armati siriani, anche conosciuti come HTS (Hayat Tahrir al-Sham, ovvero Movimento per la Liberazione del Levante), erano inizialmente legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico. Oggi però sembrano aver abbandonato la matrice di fanatismo religioso, agendo più come un gruppo di veri “liberatori”. Ne è prova il fatto che, una volta entrati in città, il loro primo atto sia stata la scarcerazione dei detenuti, tra cui – sostengono – ci sarebbero molti prigionieri politici, oppositori del regime.

Il valore della conquista

Hama si trova a più di 100 kilometri a sud di Aleppo e conta 350mila abitanti. La sua presa, a così pochi giorni di distanza dalla precedente, è il segno che l’avanzata degli HTS procede spedita. Inoltre, il valore di questa conquista è anche “simbolico”, dal momento che la città non era mai passata sotto il controllo dei ribelli, neanche durante la guerra civile.

Ribelli nella città di Hama (Fonte: Afp)

Ora è inevitabile che l’obiettivo dei ribelli sia la capitale Damasco, ancora più a sud. Al momento la città è stata posta in stato di allerta. Intanto le milizie di Tahrir al Sham hanno messo nel mirino il centro di Homs, un altro obiettivo strategico. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, infatti, il controllo di Homs si rivelerà decisivo nella chiusura delle linee di rifornimento tra la Siria e il Libano.

Una faccenda internazionale

Quello che sta accadendo in Siria è al centro delle attenzioni di diversi attori internazionali. E non potrebbe essere altrimenti: dal 2011, con il sostegno alla vittoria di Assad nella guerra civile, Russia e Repubblica Islamica dell’Iran hanno più di un interesse nel Paese. Mosca controlla le basi costiere di Latakia e Tartus, mentre Teheran opera tramite il partito-milizia libanese Hezbollah, alcuni gruppi armati sciiti provenienti dall’Iraq e il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana.

Ma negli ultimi mesi gli equilibri regionali sono saltati. La Russia si è concentrata nella guerra d’invasione in Ucraina e l’Iran è alle prese con Israele, che negli ultimi mesi ha condotto decine di raid aerei contro leader e obiettivi vicini agli ayatollah. Questi rivolgimenti hanno avuto un ruolo nelle offensive jihadiste (sono infatti due gli attacchi) contro il governo di Assad – oltre alle clamorose debolezze dell’apparato militare del regime di Damasco.

Uno dei due attacchi, l’“Alba della libertà”, è stato lanciato da un gruppo di insorti filoturchi, l’Esercito nazionale siriano (Sna), erede del vecchio Esercito Siriano Libero (Fsa) e di altre formazioni, cooptate da Ankara per perseguire i suoi obiettivi strategici nel Paese. In particolare, la Turchia intende tenere le mani su una fascia di terra in territorio siriano per: a) gestire i profughi siriani (Ankara ne ospita più di 3 milioni e mezzo); e b) avere un cordone sanitario in funzione anti-curda. Erdogan, infatti, ha inserito le milizie del Partito Curdo dei Lavoratori (Pkk) tra le organizzazioni terroristiche e quindi vuole tenerle il più lontano possibile dai confini nazionali.

Cosa faranno ora gli amici di Assad?

I capovolgimenti degli ultimi giorno costringono Russia e Iran a correre ai ripari. A Putin non interessa salvare Assad, però non è disposto a sacrificare i suoi interessi strategici in Siria. Le posizioni russe sulla costa siriana sono infatti essenziali per le ambizioni di Mosca nel Mediterraneo e nell’Africa Sub-sahariana. Secondo alcuni analisti, il Cremlino farà di tutto per ripristinare un controllo – anche senza Assad – nel Paese.

Altro discorso per Khamenei. Negli ultimi mesi l’Asse della Resistenza è stato fortemente indebolito dallo scontro con Israele e l’Iran, alla testa dell’alleanza, ne sta pagando le maggiori conseguenze dal punto di vista economico e militare. Ora, la debacle dei proxy siriani aggrava ulteriormente la precarietà dell’Asse nella regione. Difficile dunque pensare che arriverà una risposta vigorosa di Teheran alle forze jihadiste nei prossimi giorni.

 

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