Mentre in Europa imperversa la «guerra» dei vaccini con le aziende produttrici accusate di aver dirottato al migliore offerente le dosi destinate all’Unione, l’Italia prova a rendersi indipendente e conclude un accordo con Reithera per la fornitura, nel 2022, di 100 milioni di dosi.
L’accordo, nello specifico, prevede l’acquisto del 30% del capitale dell’azienda biotech di Castel Romano (RM) da parte di Invitalia, l’agenzia del governo per lo sviluppo delle imprese guidata dal commissario straordinario Domenico Arcuri. Reithera riceverà inoltre 81 milioni di euro (la metà a fondo perduto): 69,3 milioni destinati per la ricerca e lo sviluppo del vaccino; 11,7 per il completamento dell’officina farmaceutica, il locale dove verrà prodotto e infialato il siero.
Non si tratta di un investimento sconsiderato. Il vaccino di Reithera, infatti, presenta grandi vantaggi rispetto ad alcuni suoi concorrenti (v. Pfitzer) perché non ha bisogno di richiamo, si conserva a temperatura frigo (2-8 gradi) e può essere adeguato alle varianti in 2-3 mesi.
Primo passo verso l’indipendenza
«È un accordo importante per ridurre la dipendenza del nostro Paese in un settore delicatissimo per la tutela della salute dei cittadini», commenta Arcuri. Il commissario straordinario sa che il Covid-19 non sparirà al termine del primo giro di vaccinazioni. In futuro, pertanto, sarà indispensabile avere un vaccino la cui reperibilità non dipenda dalle strategie commerciali delle aziende produttrici. L’Italia intraprende così il percorso già tracciato da molte potenze mondiali: dalla Cina con Sinopharm alla Russia con Sputnik, dagli USA con Pfitzer e Moderna al Regno Unito con AstraZeneca, tutte possiedono un vaccino proprio.
Nella speranza che la tanto desiderata indipendenza non si tramuti in una mera illusione. Ai numerosi vantaggi che il vaccino italiano possiede rispetto ai competitor stranieri, infatti, fanno da contraltare ancor più nutrite incognite legate alla sua efficacia.
Bassa efficacia
Intervistato da «La Stampa», Sergio Abrignani, immunologo e direttore dell’istituto di genetica molecolare del Policlinico di Milano, ha dichiarato che il vaccino di Reithera è «sostanzialmente sovrapponibile a AstraZeneca, che ha dato risultati meno entusiasmanti di quelli americani». Entrambi i sieri sono basati sull’adenovirus dei primati. Non utilizzano, quindi, la sofisticata tecnologia Mrna, che rende i vaccini di Pfitzer e Moderna efficaci nel 95% dei casi. Ciò ne diminuisce ampiamente l’efficacia, di poco superiore al 60% nelle persone di età inferiore ai 65 anni; percentuale che diminuisce al crescere dell’età.
Preoccupazioni, queste, che si sommano a quelle legate alla produzione. Il vaccino è ancora nella fase 2 e bisognerà aspettare settembre per la sua commercializzazione di massa, come comunicato da Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). Ma questo è un dato già noto. A impensierire è piuttosto la quantità di siero che verrà prodotto, nella più rosea delle ipotesi pari a 5 milioni di dosi al mese. Un dato che preoccupa: basteranno 5 milioni di dosi al mese di un vaccino mediamente efficace a rendere l’Italia davvero indipendente dai capricci delle multinazionali del vaccino?