L’infettivologo Bassetti: “Arriverà una nuova pandemia peggiore del Covid”

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Un piccolo ritardo sull’orario schedulato. Comprensibile, visti i numerosi impegni della professione medica. Matteo Bassettiinfettivologo e figura di riferimento nella divulgazione medico-scientifica durante l’emergenza Covid 19 – si racconta a MasterX in collegamento dal suo studio ligure. Lo stesso che si vede in tv – con le pergamene incorniciate e appese al muro – nelle trasmissioni a cui Bassetti partecipa spesso ancora oggi. Per spiegare, a parole semplici, il mondo dei virus e la loro influenza sulla nostra salute.

Il periodo della pandemia ha reso più o meno credibile la scienza agli occhi delle persone?

L’ha resa più credibile agli occhi delle persone intelligenti, che hanno saputo guardare alla scienza come un’opportunità per uscire dalla pandemia. Ma non agli occhi di chi, invece, ha fatto sfoggio del proprio analfabetismo funzionale. La scienza ha vinto contro il virus, ma c’è comunque una parte di persone che non le riconosce i meriti non solo della pandemia, ma in generale degli ultimi 100 anni. Se oggi viviamo mediamente 85-90 anni, il merito è della scienza.

Com’è stato diventare da un giorno all’altro una sorta di personaggio pubblico?

All’inizio non è stato semplice, anche se non me n’ero reso conto. Perché sono diventato “famoso” nel momento in cui eravamo tutti chiusi in casa, e quando si usciva con la mascherina non ti riconosceva nessuno. Poi c’è stato un momento in cui di colpo me ne sono accorto. È una di quelle cose che non ti aspetti e quando succede impari a viverla giorno per giorno. Quando sei un personaggio pubblico, qualunque cosa che dici viene ingigantita nel bene e nel male. Quindi hai molte più responsabilità perché parli a tantissime persone. Ma è anche una soddisfazione, perché io mi sono fatto conoscere facendo il mio lavoro.

In quel periodo, le è capitato di dover rispondere pubblicamente a delle domande a cui la scienza non aveva ancora risposta?

Certo, in modo costante. “Quando finirà?”, “Cosa ne sarà?”. In quel periodo erano molte le persone che ci chiedevano di fare delle previsioni. Forse si possono fare le previsioni del tempo, ma non di quando finirà una pandemia, o quando ci sarà la seconda o terza ondata. Erano domande a cui probabilmente abbiamo sbagliato a rispondere, perché bisognava avere l’intelligenza di dire che non siamo degli indovini.

C’è stato un momento in cui ha pensato che i suoi interventi pubblici la stessero spingendo verso un ruolo più sociale o addirittura politico?

Politico no, ma sociale certamente sì. In quel periodo, io come tanti miei colleghi eravamo un ottimo strumento per calmare gli italiani in un momento di grande difficoltà e crisi. Quindi, di certo, il ruolo è andato ben oltre quello medico. Ancora oggi io faccio un’attività di divulgazione medico-scientifica che credo serva molto alla popolazione, trattando degli argomenti molto difficili cercando di farli diventare semplici. Credo di fare un servizio pubblico. Forse dovrebbe farlo la televisione di stato, anche se la tv non ha la stessa capacità di penetrazione dei social media.

Oggi ha più cautela nel fare divulgazione scientifica?

Beh certo, assolutamente. Ho molta più cautela perché so esattamente qual è la mia responsabilità. Perché è chiaro che avendo così tante persone che ti seguono, la gente ripone fiducia in quello che dici. La responsabilità è molto grande e quando si dice qualcosa bisogna sempre avere il supporto dei dati scientifici.

Tra i suoi colleghi medici, si è fatto fronte comune nel divulgare informazioni sul Covid oppure c’è stata troppa frammentazione?

Nel primissimo periodo avevamo visioni diverse, e credo sia fisiologico di fronte a un virus nuovo. Visto che in quel periodo non c’era neanche la possibilità di confrontarsi nei congressi perché eravamo bloccati. Si finiva a dibattere sulle televisioni e sui giornali. La scienza è anche fatta di critiche, dubbi e ipotesi. Dopo, però, credo che non siamo più stati divisi. Almeno per quanto riguarda il mondo della scienza ufficiale.

Cosa risponde a chi ancora oggi dice che “era solo un’influenza”?

Continuo a dire che si sbaglia. Anch’io l’avevo detto e ho sbagliato. Poi mi sono rimboccato le maniche, mi sono fatto il mazzo e ho chiesto scusa. L’ho detto perché non conoscevo questo virus. L’influenza è tutt’altro che una cosa banale e ogni anno fa decine di migliaia di morti in Italia e centinaia di migliaia nel mondo. Il Covid ha avuto un impatto minore di quello che si poteva pensare grazie alle vaccinazioni, se no avremmo contato ben più morti. Chi ha detto che era un’influenza e lo continua a sostenere ha sbagliato e sta sbagliando ancora di più oggi. Perché vuol dire non voler riconoscere i numeri. L’influenza c’è ogni anno e non ha mai avuto l’impatto che ha avuto il Covid.

Se domani scoppiasse una nuova pandemia, le istituzioni sanitarie sarebbero più pronte a gestirla?

Io sono convinto che le istituzioni sanitarie non sarebbero più pronte. Perché con il Covid è successa una cosa bruttissima: ci siamo divisi. Tolto quel periodo iniziale in cui sembrava tutto bello con gli “eroi medici”, gli “eroi infermieri” e gli “eroi poliziotti”, poi abbiamo iniziato a dividerci. E si è iniziato a fare campagna elettorale anche sul Covid. Gli scienziati sanno per certo che presto arriverà una nuova pandemia e io credo che ci farà molto peggio di quanto ha fatto il Covid.

Ci sono dei vantaggi che la sanità italiana ha tratto dall’esperienza del Covid?

Secondo me di vantaggi ne ha raccolti davvero pochi, e io credo che il sistema sanitario italiano stia peggio ora di come stava nel 2020. Quindi il sistema non è stato capace di fare quasi nulla di quello che avrebbe dovuto fare. Non abbiamo migliorato la parte della telemedicina o la tecnologia, che erano punti fondamentali. E non abbiamo potenziato la medicina del territorio. Anche i posti in terapia intensiva non mi pare siano aumentati come si era detto che sarebbe dovuto succedere.

Crede che la pandemia abbia favorito lo sviluppo dell’ostilità crescente verso i professionisti sanitari all’interno degli ospedali?

Assolutamente sì. La violenza che vediamo oggi è maggiore di quella che si vedeva prima. Evidentemente i sanitari non vengono visti come degli alleati che ci salvano la vita, ma come dei nemici. E di questo bisogna chiedere conto alla politica. Alla politica che ha fatto campagna elettorale sul Covid “avvelenando i pozzi”. Questo è il risultato.

Dopo il Covid, i media hanno rilanciato allarmi su virus come il vaiolo delle scimmie o l’influenza aviaria. Simili allarmismi sono motivati?

Gli allarmismi, se circostanziati con dei dati, dovrebbero essere ascoltati. Sto parlando di quello dell’aviaria, per esempio, che non è più l’allarme di un solo ricercatore. L’altro giorno è morto un bambino in Messico, ma sono morte persone anche negli Stati Uniti e quindi in paesi molto evoluti. Se si tratta di sensibilizzare l’opinione pubblica al fatto che arriverà una nuova pandemia, credo che faccia parte del nostro lavoro. Abbiamo il compito di dire “guardate che c’è un problema”. Poi le scelte di come affrontarlo è chiaro che spettano alla politica. Se la politica si gira sempre dall’altra parte, prima o poi si pagherà il conto.

Qual è una ferita silenziosa che il Covid ha lasciato nella nostra società?

La ferita che a me fa più male è quando sento dire che moriva soltanto chi era molto anziano, come se per queste persone non valesse la commiserazione che dobbiamo avere nei confronti di chiunque. Gli anziani sono persone come altre, che se non avessero avuto il covid sarebbero probabilmente ancora qui con noi. Il Covid ha ammazzato persone, poi che siano giovani o vecchi, immunodepressi o immunocompetenti, vaccinati o non vaccinati poco conta. E quindi fa male sentir dire “ma sì, è una malattia che ha soltanto accelerato la morte di qualcuno”. Perché è il modo peggiore in cui possiamo ricordare.

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