
Un evento eccezionale come la pandemia di Covid-19 ha costretto il mondo intero a fermarsi e ripensarsi. Nel tunnel fatto di paura e limitazioni, l’emergenza ha innescato dei cambiamenti nelle pratiche di consumo, accelerando tendenze che erano nell’aria, ma che faticavano a concretizzarsi, soprattutto in termini di transizione digitale e sostenibile.
Durante i lockdown il mondo del vestiario è andato incontro a stravolgimenti importanti. Oltre a riscoprire l’abbigliamento nella sua capacità di dare comfort e al boom del Second Hand, l’acquisto di nuovi capi si è spostato interamente online, modificando profondamente l’esperienza dei consumatori. Ma quanto le misure messe in atto nel 2020 sono rimaste anche dopo la fine della pandemia?
In cosa consiste la ricerca
È l’ipotesi alla base della ricerca BeChange, abbreviazione di “Behavioural Change”, finanziata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Sotto la guida di Emanuela Mora, Direttore centro per lo studio della moda e della produzione culturale (ModaCult), e Mario Maggioni, professore ordinario di politica economica, si è voluto indagare la stabilizzazione dei cambiamenti di comportamento della popolazione italiana a seguito dell’esperienza pandemica. Si tratta di una ricerca interdipartimentale, che declina l’ipotesi di partenza in diversi ambiti. Hanno lavorato insieme il Dipartimento di Psicologia, di Sociologia, di Economia, e la Facoltà di lettere dell’Ateneo.
Eleonora Noia, sociologa e professoressa presso l’Università Cattolica, ha spiegato che la ricerca BeChange è stata realizzata su un campione di 2.020 persone rappresentativo della popolazione italiana, tutti maggiorenni. Al gruppo sono stati sottoposti due questionari in due momenti diversi: «La prima volta è stato subito dopo la prima grande emergenza pandemica, nel giugno del 2021. Volevamo indagare come fosse la vita delle persone a pochissimo tempo dalla fine dei primi lockdown. La seconda volta il questionario è stato somministrato nella primavera del 2023, per vedere in che modo il Covid aveva cambiato le abitudini delle persone e, se le aveva cambiate, in che misura erano rimaste».
Come sono cambiate le nostre pratiche di consumo

La professoressa Noia, insieme ad altri colleghi, ha curato la parte relativa all’abbigliamento e alle pratiche di consumo. «Abbiamo visto come l’online ha permesso di continuare a praticare i propri consumi anche in un momento di chiusura. I supermercati erano tutti aperti, però i reparti non necessari erano chiusi. Quindi obbligatoriamente l’abbigliamento è passato tutto sull’online».
I dati raccolti sono stati poi integrati con alcuni documenti realizzati dagli studenti dell’Università Cattolica durante le esperienze didattiche. «In alcune avevamo sottoposto dei diari in cui raccontare in forma auto-etnografica il proprio rapporto con l’abbigliamento», spiega la professoressa Noia. È emerso che, nonostante la pratica di acquisto fosse stata esclusivamente online durante l’emergenza, la situazione post pandemica si è trasformata in un mix di pratiche online e offline, in cui per esempio si prova il capo in negozio e poi si compra a casa.
Nuove scelte negli acquisti e nelle modalità
«Abbiamo rilevato che l’online ha rappresentato sicuramente una modalità di risposta a quello che non potevamo più fare, però d’altra parte nel momento in cui abbiamo potuto ritornare a fare le cose in presenza è venuta fuori l’importanza della materialità e della socialità». E ancora: «Andare in giro per negozi non è soltanto un momento di risposta ad un’esigenza pratica (es. mi servono un paio di pantaloni). È anche un’esperienza sociale, perché ci mette in contatto con quello che c’è fuori, ci dà l’opportunità di fare esperienza della materialità. È importante sapere come ci sentiamo addosso il vestito, come ci fa sentire il materiale».
Dopo la pandemia viene data sempre più importanza all’abbigliamento comodo, fatto di materiali più confortevoli. «Questo è stato visibile nelle collezioni, anche da parte dei brand del lusso degli anni immediatamente successivi al Covid. Abbiamo visto entrare l’Homewear e abbiamo visto entrare l’abbigliamento sportivo, e anche noi ne facciamo un uso molto molto più massiccio. Abbiamo riscoperto l’abbigliamento nella sua funzione di darci comfort».
Boom del Second hand
La ricerca ha evidenziato anche l’importanza del Second hand, ovvero la pratica di consumo che dà valore agli oggetti “non nuovi”, già utilizzati precedentemente da noi o da altri. «È il fatto di dire “riscopriamo i nostri armadi, vediamo che cosa c’è dentro”» chiarisce la professoressa Noia. È proprio nel 2020 che in Italia viene lanciata l’app Vinted, con l’ormai famoso slogan “Se non lo metti, mettilo in vendita”, volta a promuovere il Second Hand e ridare nuova vita ai vestiti che non usiamo più. «Le preoccupazioni per la sostenibilità – spiega la professoressa Noia – accompagnate a delle esigenze pratiche, hanno portato a galla l’emersione di nuovi bisogni e di nuovi valori associati all’abbigliamento, soprattutto nelle generazioni più giovani».
Dopo il Covid, la pratica ha continuato a vivere ed evolversi. «Abbiamo visto il proliferare di spazi dedicati al second hand, di organizzazioni di eventi informali o formali come gli Swap party. Queste cose ci permettono di vedere come il Covid abbia giocato un ruolo nella diffusione di un discorso legato allo smaltimento, all’utilizzo dell’abbigliamento, al nostro rapporto con le cose che non mettiamo».
Il Covid ha accelerato tendenze già presenti
Queste pratiche, che a 5 anni dall’inizio della pandemia sono ormai consolidate nella nostra società, secondo la professoressa Noia non sono iniziate con il Covid: «Erano nell’aria già prima del covid alcune nuove priorità e alcuni nuovi modi di fare le cose. Noi avevamo già gli shop, i market online, alcune piattaforme o alcuni luoghi di acquisto per il Second Hand». Prosegue poi: « Il Covid ha imposto un’accelerazione su delle dinamiche che erano in qualche modo già in atto per quello che riguardava i consumi».
Nel caso del Second Hand: « Potrebbe avere a che fare da una parte con la diffusione delle piattaforme come Vinted, dall’altra con una diversa relazione con i nostri vestiti: si dà più importanza all’accesso ai beni piuttosto che al loro possesso». Cambia la relazione con i nostri abiti, che culmina con una progressiva disaffezione anche emotiva. « Inoltre – prosegue la professoressa Noia – è una pratica che comporta una minore capacità di spesa dei giovani, sia quelli in età scolare che non hanno ancora un proprio stipendio, sia i giovani lavoratori che sono sempre più precari».
Le aziende di moda
Il Covid-19 ha consentito anche di sperimentare nuovi modi di comunicare da parte delle aziende di moda che hanno sempre più a cuore il tema della sostenibilità e del digitale, oltre all’esigenza di stare sui mercati con nuove soluzioni. «Durante la pandemia le settimane della moda non si sono fatte in presenza, però ci sono state delle modalità alternative di presentazione delle collezioni che hanno sfruttato in media, come nel caso di Giorgio Armani». Non solo: «Anche Gucci, Dolce&Gabbana e Moschino avevano sperimentato delle modalità alternative di comunicazione che sfruttavano il digitale. Dolce&Gabbana si era concentrato sui camerini virtuali e l’assistenza personalizzata al consumatore».
Generazioni a confronto
La ricerca è scesa ancora più in profondità. La professoressa Noia, insieme alle professoresse Emanuela Mora e Erika Uberti, ha analizzato anche come le diverse generazioni hanno reagito all’emergenza e come il cambiamento ha impattato su di loro. «Nell’impatto del Covid, quello che abbiamo visto era che i giovani hanno cambiato le loro abitudini molto più velocemente nella prima fase del Covid». Anche gli intervistati più adulti hanno accolto il cambiamento, avvicinandosi al digitale, all’uso delle app di video chat, dello streaming, della spesa online e molto altro.
Nonostante questo, i giovani hanno risposto più prontamente, anche se questo ha avuto delle ripercussioni dal punto di vista della salute mentale. La professoressa Noia spiega il motivo: «L’esperienza del Covid è legata ad un certo momento della vita. Per i giovani, corrisponde agli ultimissimi anni delle scuole superiori, all’ingresso nel mondo del lavoro, oppure all’ingresso nel mondo dell’università. Questi sono dei periodi di grande socializzazione, in cui apprendiamo le regole, cresciamo e ci confrontiamo con gli altri e con il mondo». Continua: «Il momento del passaggio alla vita adulta e il rapporto con gli altri è indispensabile. Il fatto che sia venuto meno durante il Covid ha avuto un impatto molto forte in termini di benessere, nonostante i giovani si siano adattati rapidamente alle nuovi abitudini».
Conclude affermando che «La lente di osservazione generazionale ha permesso di avere questo tipo di risultati, che sono interessanti perché a 5 anni dal Covid anche in ambito medico è stato rivelato questo tipo di malessere».
I risultati finali
La ricerca BeChange è frutto di un lavoro complesso, che tra il 2021 e il 2023 ha indagato quanto la pandemia abbia cambiato il comportamento degli individui e la diversa risposta alle nuove abitudini in base alla generazione d’appartenenza. Sebbene tutti si siano adattati e reinventati, i giovani hanno pagato la pronta risposta in termini di stress e benessere mentale.
Lo stato di emergenza ha fatto sì che una serie di tendenze che erano nell’aria, ma faticavano a concretizzarsi, prendessero il via. Per quanto riguarda le pratiche di consumo, la pandemia ha costretto ad approcciarsi al mondo dell’abbigliamento esclusivamente online. Nonostante ciò, al termine del lockdown l’approccio è diventato misto, sia online sia offline, riscoprendo l’importanza della materialità e della socialità, oltre a dare nuova attenzione ai capi d’abbigliamento comodi. C’è stato poi il boom del Second Hand, anche grazie all’app Vinted, lanciata nel 2020, che ha aiutato a rendere lo scambio di vestiti usati facile e “alla moda”.
La maggior attenzione ai temi del digitale e della sostenibilità ha preso il ritmo proprio nel periodo pandemico, sebbene a 5 anni di distanza ci sembra che facciano da sempre parte della nostra vita quotidiana.