
Vietato parlare di sparizione: anche per il cinema vale la legge darwiniana dell’adattamento. Certo, la chiusura di impianti storici come l’Odeon e l’Apollo può fare pensare a una crisi di settore, ma quella di Milano è una situazione da contestualizzare. A provocare lo stato di allerta è stato l’appello lanciato a Roma poche settimane fa da tanti operatori del set; attori, registi e produttori che hanno alzato la voce contro la chiusura o la conversione di tante sale cinematografiche della capitale.
Ma Milano non è Roma e nel capoluogo lombardo il fenomeno assume un’altra portata. In termini di presenze, i numeri parlano chiaro: «Guardando i dati che abbiamo a disposizione – spiega Anita Di Marcoberardino, segretario regionale di Agis lombarda (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo) – su Roma vediamo un crollo del 42% negli ultimi 10 anni di presenze. Su Milano, invece, un confronto delle presenze del 2024 con le presenze del 2015, segnala un calo del 18%». Un valore comunque negativo, ma molto più contenuto, considerando anche gli anni della pandemia, che hanno decretato l’esplosione delle piattaforme di streaming a discapito di cinema e cineteatri.
Schermi e sale
Ad accomunare le due città è piuttosto una questione normativa, ovvero l’assenza del vincolo di destinazione d’uso. Per i cinema questo rappresenta la possibilità di essere «rilevati per poi trasformarli in qualcosa di commerciale», spiega Di Marcoberardino, che riconduce aperture e chiusure di cinema a un fenomeno più vasto che riguarda l’intera città: «La logica di Milano negli ultimi 15 anni è stata quella di valorizzare tutte le zone, uscire dal centro, per andare a popolare e a costruire un’offerta culturale anche fuori dal centro. Il rischio è che la pandemia abbia depauperato il centro, ma non solo di cinema».
Che fine fanno allora i cinema? I numeri non sono cambiati a livello sostanziale: «Trenta, quarant’anni fa, erano tutti monosala, quindi al numero di strutture più o meno corrispondeva il numero di schermi», spiegano da Agis. Oggi, malgrado le strutture siano diminuite, «il numero di schermi è aumentato: dal 2001 c’è stato un incremento del 21%». In altre parole, è la proporzione ad essere cambiata radicalmente: «Nel 2001, a fronte di 51 strutture, gli schermi erano 85, adesso sono 100 distribuiti in 30 cinema». Inoltre, «spesso a chiusure importanti hanno fatto seguito delle aperture di nuove strutture». Un esempio è l’ex cinema UCI di viale Certosa, recentemente riaperto con la nuova denominazione di “Cinelandia”.
Il fenomeno multiplex

Per i cinema inaugurati negli ultimi anni il modello dominante è quella del “multiplex”, il grande cinema multisala inserito all’interno di uno shopping center o comunque circondato da altri esercizi commerciali, il più delle volte dedicati alla ristorazione. Per ovvie ragioni di spazio, «in Italia i multisala nascono ai confini della città: l’ultimo aperto, il cinema Notorious in viale Sarca, non si può certo definire posizionato in centro città». L’unica eccezione in questo senso è rappresentata dall’Anteo Palazzo del Cinema che, quasi simbolicamente, si trova in porta Garibaldi, su un’ipotetica linea di confine che separa il centro storico dagli anelli più esterni della città.
Conoscere il pubblico
Per quanto, dunque, il fenomeno dei multisala “di periferia” sia ormai una realtà affermata, non sarebbe corretto dire che questi hanno soppiantato del tutto il modello più tradizionale, che ancora resiste e che attraverso precise scelte organizzative e contenutistiche continua ad attrarre gli appassionati della settima arte. Queste strutture riescono, nonostante tutto, a raggiungere numeri ragguardevoli: il Cinemino, per esempio, in sette anni di attività (festeggiati il 10 febbraio), ha radunato intorno a una sala di 75 posti la bellezza di 80mila tesserati. Abbastanza per dire di essere entrati nelle abitudini dei milanesi, ma anche abbastanza per parlare di una community, costruita con una proposta attenta e coerente con il pubblico. «È l’unico modo per resistere – spiega Agata, che lavora al Cinemino dal giorno della sua apertura –, l’unico modo per creare fidelizzazione».

Ma per ottenere queste cifre occorre muoversi in modo strategico. In un cineclub come il Cinemino, il tesseramento «è una fonte di informazione rispetto a quello che è il nostro pubblico. Che si tratti di età o provenienza l’introduzione di una tessera ci è servita per capire a chi stessimo parlando, in modo da gestire la proposta di conseguenza». Ne è scaturita una proposta ampia e variegata, «una multiprogrammazione sul modello francese: cinque film al giorno di tipologie diverse, quasi tutti in lingua originale con i sottotitoli. Ovviamente targettizzati a seconda della fascia oraria, del giorno e del pubblico». Lunedì sera i classici per esempio, mentre altri giorni sono dedicati alla proiezione di documentari o cortometraggi.
Immaginare il cinema

Tutto questo è sospinto da un’idea forte di cosa debba essere un cinema, alimentata dalla passione dei singoli che ci hanno investito e che se ne prendono cura. Il Cinemino, racconta Agata, «nasce dall’idea di un gruppo di persone, tutte con esperienza nel mondo dell’intrattenimento (quindi cinema, teatro, televisione), che volevano mettere su una cosa che assomigliasse a un’idea di cinema che gli piaceva». Una volta scelto il posto, «abbiamo cominciato a immaginarci quello che avrebbe potuto essere questo cinema». E l’immaginazione si è poi tradotta in una realtà oltre le aspettative. «Quando l’abbiamo progettato abbiamo pensato ad un luogo che fosse vicino ad un’immagine vecchia, antica, vintage, di cinema. Anche esteticamente, con una sala bar che funzionasse da foyer e che potesse effettivamente accogliere gli spettatori prima di mandarli in sala, un luogo anche dove ci si potesse incontrare, conversare, confrontarsi sia prima che dopo il film».
La rinascita del Beltrade
Dal quartiere di Porta Romana a Nolo, non lontano dalla stazione Centrale, l’opinione non cambia. Pur con una storia diversa, infatti, il cinema Beltrade condivide un’idea molto simile. Nato come cinema parrocchiale nella prima metà del secolo scorso, il Beltrade ha vissuto alterne fortune, che dopo anni di fasti, durante i quali ha per un breve periodo ospitato anche la Cineteca, hanno portato a un periodo difficile nel premio decennio del Duemila.
Nel 2012, il passaggio di gestione alla società Barz And Hippo – già responsabile di una sala a Cologno Monzese e di una a Rho – e un nuovo progetto, vincitore di un bando del Comune, ne hanno sancito la rinascita. «Poco a poco – spiega Monica di Barz And Hippo – abbiamo iniziato a gestire la sala aumentando le proiezioni, gli orari e i giorni di apertura, aumentando i film e mettendoli in multiprogrammazione, facendo delle scelte diverse rispetto alla distribuzione che si faceva in precedenza».
Anche qui, come al Cinemino, è molto apprezzata la visione delle pellicole in versione originale, in un rapporto bilanciato tra produzioni indipendenti e film di grandi case di distribuzione. Anche qui, come al Cinemino, si respira la passione: «Tutte le persone che lavorano qui conoscono il cinema, sono appassionate di cinema, sono in grado di parlare dei film con gli spettatori. Noi la intendiamo come una condivisione di qualcosa che abbiamo in comune con gli spettatori, non c’è un distacco». L’accoglienza è «familiare, alla pari, diretta, nel bene e nel male, un po’ come fosse un piccolo cinema di provincia, un cinema di una volta».

«Lo spazio migliore per vedere un film»
A patto che la nostalgia non pregiudichi la qualità: «La sala deve essere un luogo speciale per chi entra, perciò abbiamo fatto tanti lavori per renderla come intendiamo che debba essere un cinema». Che in questo caso è pensato «tutto rosso, con il sipario che si apre e si chiude, con il buio fino alla fine dei titoli di coda». Tutto contribuisce all’esperienza, vero valore aggiunto della sala. «Deve essere un luogo dove le persone capiscono che lì si guarda un film tutti insieme, ma che si guarda per bene, perché crediamo che il cinema sia quello, lo spazio migliore per vedere un film». E considerando il successo di queste piccole sale, che con la loro passione e la loro cura muovono centinaia di migliaia di appassionati in tutta la città, viene da pensare che il cinema a Milano sarà al sicuro per parecchio tempo.