Takahashia japonica, la piccola cocciniglia che ha invaso la Lombardia

La Takahashia japonica è un minuscolo insetto di origine asiatica, che si è ormai stabilito in tutti i parchi del milanese. Per uomini e animali nessun pericolo, ma i rischi per le piante impongono attenzione. Le soluzioni per contrastarne la diffusione, per il momento, appaiono ancora insufficienti.

Un’invasione rapida e recente

Chi avesse approfittato di queste giornate di primavera per fare una passeggiata al parco potrebbe avere osservato sui rami degli alberi degli anelli biancastri e filamentosi. Sono il segno più riconoscibile della presenza di Takahashia japonica, una specie di insetto originaria dell’Estremo Oriente che da qualche anno ha colonizzato le nostre aree verdi.

Non solo a Milano e non solo in Italia: queste cocciniglie, che appartengono allo stesso ordine di cimici e afidi, sono state osservate anche in Croazia, Ucraina e Regno Unito. Trovata per la prima volta in Lombardia a Cerro Maggiore, nel 2017, la Takahashia japonica si è presto diffusa: «È una specie estremamente polifaga – spiega Costanza Jucker, docente di Entomologia urbana all’Università degli Studi di Milano –, questo vuol dire che può andare su tantissime piante ospiti». Qui, una volta all’anno, in primavera, avviene la deposizione delle uova.

Una neanide (stadio giovanile) di Takahashia japonica

Quei filamenti a forma di anello che vediamo sui rami degli alberi in questo periodo sono gli ovisacchi, che potremmo paragonare a dei baccelli all’interno dei quali si trovano fino a quattro-cinquemila uova. Alla schiusa, una cospicua popolazione di giovani neanidi andrà a posarsi sulla pagina inferiore delle foglie.

La diffusione passiva tramite il commercio

Dai gelsi del Giappone alle fronde di Liquidambar, aceri e tante altre specie europee, la capacità di spostamento di questo piccolo insetto si è rivelata sorprendente, specialmente a dispetto della sua scarsa mobilità. In effetti, continua Jucker, «la diffusione è essenzialmente di tipo passivo, quindi avviene soprattutto con mezzi di trasporto oppure materiale vegetale infestato». Piante o residui di piante diventano così il veicolo per viaggiare da una parte all’altra del mondo.

E non è un caso isolato: «Ormai la maggior parte degli insetti esotici che troviamo arrivano con il commercio di piante ornamentali», osserva la professoressa. «Quando queste specie arrivano in un nuovo territorio trovano ampi spazi e, se riescono ad acclimatarsi, danno luogo a “pullulazioni”, infestazioni molto importanti, favorite anche dall’assenza di nemici naturali nel nuovo ambiente».

I rischi per l’ambiente

Ne conseguono danni per l’ecosistema. Per quanto la Takahashia japonica non sia in alcun modo nociva per uomini e animali, lo stesso non si può dire per le piante. L’aggressione della Takahashia japonica può provocare perdita delle foglie e un generale indebolimento del vegetale, che diventa più fragile a siccità e altri fenomeni potenzialmente fatali. L’altra specie a rischio sono le api. Le cocciniglie infatti producono molta melata (una sostanza zuccherina), che può richiamare gli impollinatori e produrre dunque un danno secondario, indiretto, nell’ecologia della zona.

Soluzioni inefficaci

Combattere l’infestazione è difficile. La soluzione più diretta rimane la potatura, che però va fatta con cura, «durante il periodo invernale o primaverile, comunque prima che si schiudano le uova». Altro periodo da evitare, naturalmente, è quello della fioritura, nel corso della quale un eventuale intervento potrebbe colpire altri insetti utili.

Per quanto riguarda invece l’uso di pesticidi, aggiunge Jucker, «non ci sono principi attivi registrati su questi insetti, proprio perché risultano coperti da queste cere, come tutte le cocciniglie». Altri rimedi più naturali, come oli minerali, olio di neem, oli essenziali, «sono consigliabili, non ci sono però ancora delle prove sperimentali».

L’ipotesi di un limitatore specifico

Un’ulteriore soluzione sarebbe l’introduzione di insetti antagonisti. «È un metodo di lotta biologica che è già stato adottato anche per altre avversità, altri insetti introdotti da luoghi esotici: si va nel luogo di origine a cercare eventuali limitatori naturali e specifici», spiega la professoressa. Anche questa strada, tuttavia, è da prendere con molta cautela. «Vanno eseguiti degli studi, delle ricerche, per valutare che questo nuovo parassitoide non vada poi a creare squilibri con quella che è la biodiversità locale. Errori in questo senso ne sono già stati osservati». Tenendo conto di queste precauzioni, la lotta biologica comunque «è una tecnica che funziona, uno dei metodi meno costosi e più efficaci».

Nel frattempo, l’atteggiamento raccomandato è quello della vigilanza: la Takahashia japonica non rappresenta ancora un’emergenza fitosanitaria, ma monitorare la presenza dell’insetto sul territorio – segnalandone la diffusione alla Regione – è il modo migliore per tutelare l’ambiente.

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