Può Charlie Chaplin, a cavalcioni di un gigantesco ingranaggio, essere simbolo del momento che stiamo vivendo? Probabilmente sì, ecco il perché.
Il 5 febbraio di 85 anni fa, nel Rivoli Theatre di New York, si trasmetteva la prima mondiale di Tempi Moderni, uno dei picchi di massimo splendore dell’arte di Chaplin e sintesi perfetta del suo cinema. Un film quasi interamente muto, in un’epoca già sonora, che racconta, con musiche ed effetti, la modernità.
tempi estremamente moderni
L’ironia di Chaplin si destreggia nel suo personaggio, Charlot, un vagabondo assunto in una grande fabbrica, che si ritrova invischiato nei ritmi crudeli e instancabili della routine produttiva. Ambientata durante la Grande Depressione, la pellicola racconta l’alienazione degli operai e la povertà dilagante di quella classe sociale.
Ma il vero merito di questo unicum cinematografico è proprio quello di andare oltre la Grande Depressione, di saper offrire, a distanza di 85 anni, una chiave di lettura della società estremamente attuale.
Nello Charlot alienato, che intralcia la catena operativa, sono nascoste tante delle dinamiche del nostro presente. Un’economia già fortemente in crisi, in questo periodo di pandemia e restrizioni, si è trovata costretta a ripensare il suo valore nella società, rischiando di schiacciare e sopraffare il benessere dell’uomo. L’impatto pandemico ha portato l’Italia e molti altri paesi a dover scegliere tra il diritto alla salute dei cittadini e l’importanza della ripresa economica.
Nel gregge di pecore, che apre la prima scena del film, e che, con un’attenta dissolvenza, si trasforma in un gruppo frenetico di operai che esce dalla metropolitana, è disegnato il ritmo della nostra modernità. Un turbinio instancabile che segue le regole di quel “tempo è denaro” che Chaplin aveva reso protagonista di Tempi Moderni.
un duplice linguaggio
Un film che parla di disoccupazione, di sfruttamento del lavoro, di crisi esistenziale dell’uomo e lo fa con un linguaggio duplice. Chaplin sceglie il film muto, non vuole abbandonare la sensazioni surreali di una sala cinematografica silenziosa, nonostante l’avanguardia imponga ormai la cultura del suono e dei dialoghi parlati. È con questo attaccamento alla tradizione che Tempi Moderni racconta, invece, qualcosa di inaspettatamente nuovo.
La strada di Chaplin
Un sguardo attento e proiettato al futuro, alle interpretazioni che se ne ricaveranno, alla possibilità di raccontare l’alienazione e il disagio dell’uomo nei decenni che verranno.
Chaplin è perfettamente consapevole della modernità della sua opera e lo dimostra nella scena finale, retorica quanto emblematica. Charlot si allontana in una strada vuota e sconfinata accanto a Paulette Goddard, co-protagonista di Chaplin. Le dice di sorridere e i due si incamminano con uno spirito nuovo.
L’alba di questo 2021 assomiglia alla strada di Chaplin: quel percorso che ha un inizio schiacciato dal peso dei drammi economici ma che prosegue verso una nuova modernità.