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Non è una donna trans: tutto quello che c’è da dire sulla pugile Imane Khelif

Dura appena 46 secondi il match tra la pugile italiana Angela Carini e la rivale algerina Imane Khelif. È il 1° agosto 2024, ottavi di finale nella categoria dei pesi welter. A Khelif bastano pochi colpi per costringere l’avversaria ad abbandonare l’incontro. «Ho sentito troppo dolore oggi», spiegherà la Carini poco dopo l’incontro, con la voce rotta per la delusione. Delusione che attraversa anche i tifosi dell’azzurra e sfocia in un’aspra polemica contro Imane Khelif. L’algerina viene accusata di essere una donna transgender, ovvero un uomo diventato donna dopo una transizione di genere. Questa voce viene rilanciata dalla stampa nazionale e internazionale, alimentando i dubbi sull’effettiva condizione dell’atleta. Ma se Imane Khelif non è una donna transgender come si spiegano la sua massiccia struttura corporea e i suoi tratti mascolini? Come si è potuto ammetterla alle Olimpiadi se non è una donna?

Nessun intervento di transizione
Imane Khelif in una foto d’infanzia fornita dalla famiglia

Classe 1999, Imane Khelif è stata definita da alcuni media come donna trans. La pugile, però, non è nata biologicamente maschio, né risulta che si sia sottoposta ad alcuna operazione per il cambio di sesso, intervento peraltro vietato in Algeria. A rafforzare quanto appena detto, una foto di famiglia – resa pubblica da Algérie Football Media – che mostra Khelif da bambina. Escludendo l’ipotesi transgender, la questione si fa più complicata per la rarità della condizione della pugile.

A sostanziare le accuse mosse all’atleta algerina, pesa la squalifica ricevuta nel 2023 ai Campionati mondiali dilettantistici di pugilato femminile, comminatale dall’International Boxing Association (IBA), organizzatrice della manifestazione. I test effettuati dalla federazione hanno rivelato la presenza di cromosomi XY (i cromosomi maschili), e alti livelli di testosterone (il principale ormone maschile). Gli eccessivi livelli di testosterone, che sforavano i limiti previsti dal regolamento, sono stati il motivo della sua esclusione dai mondiali. Interpellata dalla testata inglese The Guardian, l’IBA ha aggiunto che l’esclusione è avvenuta «in seguito a un esame approfondito e con il fine di salvaguardare l’equità e l’integrità della competizione». Tuttavia, al fine di tutelare la privacy delle atlete, l’IBA non ha reso pubblici gli esami né fornito dettagli specifici.

L’ipotesi intersex
La pugile algerina potrebbe essere un caso di persona intersex

Dal punto di vista fisico e ormonale, l’IBA ha comunicato che Khelif sarebbe una persona intersessuale o intersex, ovvero con caratteristiche sia femminili sia maschili. In mancanza di referti medici pubblici, questa rimane un’ipotesi, ma ha comunque senso addentrarsi in questa definizione complessa e forse non ancora adeguatamente normata. Anzitutto, non si tratta né di una malattia né di un disordine, ma di una variazione spontanea delle caratteristiche del sesso. Queste variazioni possono causare iperandrogenismo, ovvero una produzione di ormoni superiore ad una ipotetica media femminile, cosa che spiegherebbe l’alto livello di testosterone.

Riprendendo la definizione dell’Istituto superiore di sanità (ISS), le persone intersessuali presentano, a livello biologico, differenze o variazioni nello sviluppo del sesso. Le variazioni possono riguardare tanto i cromosomi e gli ormoni sessuali quanto i genitali esterni o gli organi riproduttivi interni. Gli individui intersex hanno quindi uno o più caratteri sessuali (cromosomi, ormoni ecc.) che non corrispondono perfettamente alle categorie di “maschio” o “femmina”. Ad oggi non esiste una stima esatta della numerosità della popolazione intersex, ma secondo l’ISS il numero si aggirerebbe tra lo 0,018% e l’1,7%.

In passato, le persone intersex venivano chiamate “ermafroditi,” ma oggi questo termine è considerato inappropriato, stigmatizzante e scientificamente inesatto. Il termine corretto è “variazioni delle caratteristiche del sesso” o, in inglese, “Variations of Sex Characteristics” (VSC).

Il dubbio sulla partecipazione olimpica

A prescindere dal motivo della squalifica, in molti si sono domandati come mai la pugile, esclusa dai Mondiali Dilettantistici del 2023, abbia potuto partecipare alle Olimpiadi l’anno successivo. Per avere una risposta soddisfacente a questo interrogativo sono due gli aspetti da chiarire.

In primo luogo, l’IBA e il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) fanno riferimento a due regolamenti diversi (e quindi a diversi livelli ormonali da rispettare). Uno sguardo al regolamento olimpico può aiutare a fugare ogni dubbio. Le competizioni di boxe ai Giochi di Parigi 2024 sono state organizzate direttamente dal CIO attraverso l’istituzione della Paris Boxing Unit (PBU), un’unità fondata appositamente per questa occasione. Va infatti ricordato che nel 2023 l’associazione alla guida della boxe mondiale (IBA), era stata disconosciuta dallo stesso CIO per motivi legati a corruzione, scandali arbitrali e legami sospetti con la Russia.

Imane Khelif fa il suo ingresso con il coach dell’Algeria Pedro Diaz per il match contro Angela Carini
Cosa prevede il regolamento

È dunque stata cura del Comitato pianificare e mettere per iscritto il regolamento olimpico della disciplina. Dai criteri per la qualificazione fino ai requisiti per la partecipazione. Per la questione legata al genere degli atleti, le norme adottate prevedevano che, a differenza delle competizioni IBA, non fossero svolti esami del DNA, bensì che ci si basasse su quanto scritto sul passaporto. Il CIO non considera infatti eccezioni al binarismo di genere e dunque il sesso indicato su tale documento – donna, nel caso di Khelif – veniva considerato un parametro sufficiente.

In vista delle Olimpiadi, il CIO si è riservato solamente l’incarico di controllare che la soglia di testosterone in circolo nelle atlete fosse inferiore a 10 nanomoli (10-9 moli) per litro durante i dodici mesi che hanno preceduto l’evento e per tutta la durata della competizione. In particolare, la sezione 3.1 del regolamento stabiliva che il certificato medico dovesse essere «debitamente timbrato e firmato dall’autorità medica competente nei tre mesi precedenti per tutti i pugili». Il fatto che l’atleta algerina abbia preso parte regolarmente alla competizione implica che i test a cui si era sottoposta in vista delle Olimpiadi non avessero riscontrato alcuna anomalia nella presenza di testosterone. O, quantomeno, che la quantità rientrasse nei limiti consentiti.

Su questa vicenda si era espresso anche Mark Adams, portavoce del Comitato Internazionale Olimpico. Quest’ultimo aveva ammesso come le regole su chi dovesse gareggiare nella categoria femminile fossero “piuttosto complesse”, motivo per cui il Comitato si era preoccupato di rilasciare per tempo a tutte le federazioni un documento con indicazioni precise. Inoltre, scoppiata la polemica, sempre lo stesso Adams aveva tentato di placare gli animi affermando che tutte le atlete impegnate nella boxe «rispettavano i criteri di ammissibilità e avevano sempre combattuto con donne».

Una presenza legittima

Chiariti i risvolti normativi, nel caso specifico dell’algerina è opportuno ricordare anche il suo impegno a mantenersi aderente ai requisiti del Cio. Dopo la squalifica del 2023, la pugile ha iniziato delle cure per tenere sotto controllo i propri livelli ormonali. Questo le avrebbe permesso di presentarsi a Parigi con livelli di testosterone più bassi rispetto al Mondiale di due anni prima. È ancora Mark Adams a dichiarare che Khelif è sempre rimasta sotto il limite previsto dal regolamento e ha presentato documentazione medica che attesta che non dispone di vantaggi derivanti dalla sua situazione ormonale. Lo conferma il suo record, che non testimonia una superiorità assoluta sulle colleghe: contando anche i match annullati dall’Iba nel 2023, dal 2018 ad oggi Khelif ha disputato 51 incontri ufficiali e ne ha persi 9, dimostrando di essere un’atleta forte ma non imbattibile.

Le variazioni delle caratteristiche del sesso non garantirebbero a Khelif un vantaggio competitivo

In una vicenda parecchio intricata, l’unico criterio per dirimere la questione va ricercato nel regolamento olimpico adottato dal CIO. In ottemperanza ad esso, Imane Khelif si era qualificata di diritto attraverso gare precedenti e rientrava nei parametri richiesti alle pugili. Tenendo conto di questi fattori, la sua partecipazione alle competizioni di pugilato femminile dei Giochi 2024 è dunque da considerarsi legittima, mentre le accuse di essere una donna transgender non trovano fondamento. A livello fisiologico, quello di Imane Khelif è da considerarsi un caso di variazione delle caratteristiche del sesso, compatibile con uno scenario di intersessualità.

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