Hamas accetta la tregua a Gaza: cosa prevede l’accordo

Hamas avrebbe accettato la bozza di un accordo per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani. E sull’intesa c’è lo zampino di Donald Trump. Il Tycoon, a pochi giorni dal suo insediamento alla Casa Bianca, previsto per il 20 gennaio, aveva lanciato un ultimatum chiaro: se entro il suo insediamento non si fosse trovata una soluzione, The Donald avrebbe «scatenato l’inferno» a Gaza. La partita diplomatica, invece, è stata giocata da Steven Witkoff, inviato speciale in Medioriente del nuovo presidente USA, dai vertici del Mossad, dal presidente del Qatar, al Thani, e dal nuovo leader di Hamas, Mohammed Sinwar, fratello del defunto ex-capo Yahya.

I dettagli dell’accordo

Il piano prevede tre fasi. Nella prima tappa, quella che dovrebbe partire a breve, il cessate il fuoco sarà mantenuto per 42 giorni. Ci sarà comunque una finestra di tempo da aspettare tra le parole dei rappresentanti e l’effettivo stop agli spari.

Dopo il congelamento degli scontri, le Israel Defense Forces si ritireranno gradualmente dalla Striscia mentre entreranno nell’enclave decine di camion di aiuti umanitari per cercare di alleviare le sofferenze umanitarie dei gazawi. Poi si passerà al meticoloso piano di scambio prigionieri tra le due parti, che avverrà a tappe per dare la possibilità ad Hamas di localizzare gli ostaggi. Per ogni prigioniero israeliano (dovrebbero essere 33) verranno liberati tra i 30 e 50 detenuti palestinesi nelle carceri dello Stato Ebraico.

Dal lato israeliano bisogna capire quanti degli ostaggi siano ancora vivi. Nell’ultimo elenco circolato, ci sarebbero ancora minori di 19 anni, come i fratellini Bibas (4 anni e 10 mesi al momento del rapimento) sulla cui sorte il pessimismo monta da tempo. Ci sono poi le donne, comprese le soldatesse, gli uomini con più di cinquanta anni e anche alcuni malati.

D’altra parte, per i palestinesi, il problema riguarda il “rango” e le pene dei detenuti nelle carceri ebraiche. Israele dovrebbe liberare anche alcuni prigionieri condannati all’ergastolo e, per alcuni, sarà obbligatorio l’esilio. Dovrebbe essere assente dalla lista dello scambio il nome più atteso: Marwan Barghouti, il leader della Seconda Intifada (la rivolta palestinese scoppiata tra il 2000 e il 2005), su cui Netanyahu avrebbe posto un veto insormontabile.

Marwan Barghouti, il leader della Seconda Intifada (la rivolta palestinese scoppiata tra il 2000 e il 2005).
I territori e le altre fasi

Altro discorso complesso riguarda i due corridoi più discussi della guerra a Gaza: il Netzarim, che divide la Striscia in nord e sud, e il Philadelphi, al confine con l’Egitto. Almeno in teoria, le IDF dovrebbero abbandonare il primo corridoio, smantellando le infrastrutture ma non eliminando alcune caratteristiche che permetterebbero di poterlo rioccupare in futuro. Punto su cui Netanyahu era perentorio ma che le pressioni di Trump avrebbero ammorbidito.

Il corridoio di Philadelphi, invece, sarà solo parzialmente abbandonato con una compensazione delle autorità egiziane. In discussione anche la famosa “zona cuscinetto” prevista all’interno della Striscia. Trecento metri sarebbe la grandezza accettata da Hamas, mentre Tel Aviv propenderebbe per più di 1 chilometro.

Una ricostruzione di Gaza con evidenziati i corridoi di Netzarim e Philadelphi. Fonte: Middle East Eye

Dopo il sedicesimo giorno di stop, partirà la negoziazione sulla seconda e la terza fase. Secondo gli analisti, è uno dei momenti più delicati. Infatti, nel novembre 2023, l’accordo crollò proprio nel passaggio tra prima e seconda fase. Entrerebbe di nuovo in campo anche qui lo zampino di Trump che avrebbe garantito ad Hamas tramite il Qatar che non si tornerà a combattere.

Senza dubbio, le aspettative sono alte ma la cautela resta un obbligo. Il passato e la storia di questo conflitto insegnano che l’imprevisto in Medioriente è sempre dietro l’angolo.

Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica internazionale, terrorismo, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Conrad, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson.

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