Dopo il caos, in Iran arrivano gli arresti. Il portavoce dell’autorità giudiziaria Gholamhossein Esmaili ha riferito che negli ultimi tre giorni sono state fermate alcune persone coinvolte nel disastro del Boeing 737-800, abbattuto l’8 gennaio scorso. Responsabili che verranno giudicati da una corte speciale, composta dai migliori giudici iraniani e da decine di esperti.
E se il premier canadese Trudeau ha già dichiarato che il Canada non cesserà di far sentire la sua voce finché giustizia non sarà fatta per tutte le famiglie coinvolte – sono 63 le vittime canadesi del volo UIA 752 -, Rouhani ha anche assicurato che verrà garantita trasparenza nei confronti della popolazione iraniana. I primi a guardare con interesse il processo saranno proprio i cittadini. E’ per questo motivo che si susseguono da tre giorni, specialmente fra i giovani e gli universitari, le proteste agguerrite di cui tanto si sente parlare.
Arresti anche tra i manifestanti
Se è anche grazie alla pressione delle proteste interne che Teheran ha dovuto iniziare una prima indagine nei confronti dei responsabili del disastro aereo, è altresì vero che il governo iraniano ha iniziato l’operazione di repressione in direzione dei manifestanti. «Tolleranti sì, ma verso chi non compie azioni illegali», la giustificazione delle istituzioni. Sono finora trenta gli arrestati durante le dimostrazioni, stando alle dichiarazioni di Esmaili.
Tra gli arrestati l’ambasciatore britannico
C’è anche l’ambasciatore britannico Rob Macaire in Iran fra le persone fermate in seguito alle proteste delle ultime ore. Le accuse di aver partecipato alle dimostrazioni sono state smentite dallo stesso Macaire, che ha affermato di essersi soltanto recato ad una veglia in memoria delle vittime dell’incidente aereo.
Thanks for the many goodwill messages. Can confirm I wasn’t taking part in any demonstrations! Went to an event advertised as a vigil for victims of #PS752 tragedy. Normal to want to pay respects- some of victims were British. I left after 5 mins, when some started chanting.
— Rob Macaire (@RobMacaire) January 12, 2020
Si tratta di un atto che potrebbe far alzare di nuovo la tensione fra Teheran e l’Occidente, nonostante il lento processo di de-escalation che la Repubblica Islamica sembra aver comunque intrapreso nei confronti dei suoi rivali, uno su tutti gli Stati Uniti.
Il conflitto sul piano economico e l’esito del JCPOA
È infatti questa la direzione verso cui va la dichiarazione d’ammissione della responsabilità per il Boeing abbattuto da parte di Rouhani, preceduta dal discorso dai toni meno accesi di Donald Trump, l’8 gennaio. Il presidente USA, fra le varie cose, ha infatti rivolto il solito augurio di prosperità all’Iran, nella speranza che le sue potenzialità economiche fioriscano in futuro.
Ciò nonostante infatti, il forte pressing economico che Washington intende continuare ad esercitare su Teheran dà l’idea di alcune delle prossime mosse statunitensi.
Sembra un film già visto: come nelle tante dichiarazioni nei confronti di Kim Jong Un, Trump prima ammonisce sull’enorme potenza statunitense il rivale e poi gli auspica, nel rispetto dei propri requisiti, pace e ricchezza.
In questo caso però, il presidente americano ha anche esortato Regno Unito, Germania, Francia, Russia e Cina a prendere atto dell’insostenibilità dell’accordo sul nucleare firmato nel 2015, e a porvi fine. Lo stesso accordo da cui gli USA erano usciti in modo unilaterale nel 2018, per poi tornare ad imporre pesanti sanzioni economiche all’Iran.
Le sorti del JCPOA (l’Accordo sul nucleare iraniano), finora difeso dal gruppo cosiddetto E3 – Regno Unito, Francia e Germania, firmatari dell’accordo – sono incerte. I tre Paesi europei stanno lavorando al meccanismo di risoluzione ed implementazione dell’accordo: «non abbiamo avuto altra scelta, date le azioni dell’Iran» si legge in una nota congiunta.
Non nuove sanzioni dunque, ma una presa di posizione forte per far sì che Teheran torni a rispettare le clausole imposte.
Scelta dettata dalla decisione di Khamenei, dopo l’uccisione del generale Solemaini, di riprendere «senza limiti sul numero», almeno nelle intenzioni dichiarate, l’arricchimento dell’uranio, infrangendo così anch’egli il JCPOA del 2015.
Intanto, entro 15 giorni i firmatari, che oltre a UK, Francia e Germania includono anche Cina, Russia e l’Alto Rappresentante UE Josep Borrell, si incontreranno per discuterne la sorte ed eventuali modifiche. Borrell ha tenuto a ricordare gli sforzi diplomatici fatti per giungere all’accordo di 5 anni fa, e ha sottolineato l’importanza di preservare quanto realizzato.
Ancora divergenze fra UE e USA
L’Europa lavora quindi per salvaguardare il JCPOA, disattendendo quanto auspicato da Trump. In maniera simile, al fine di aggirare le sanzioni americane e mettere al riparo lo stesso accordo sul nucleare nel 2019 Francia, Regno Unito e Germania avevano firmato l’Instex. Questo, un meccanismo di scambio fra merci europee ed iraniane senza il bisogno di passare attraverso transazioni finanziarie, permette alle aziende europee di acquistare merci iraniane evitando passaggi internazionali di denaro.
Il delicato gioco delle parti nei confronti dell’Iran, che vede da una parte il gruppo E3 – e più in generale l’UE – e dall’altra gli USA, potrebbe tuttavia presto veder cambiare il proprio assetto. Le elezioni britanniche del 12 dicembre hanno riconsegnato con decisione il governo a Boris Johnson, prossimo ad attuare la Brexit e vicino a Trump. Non a caso, complice il guaio diplomatico occorso con l’arresto dell’ambasciatore in Iran, Johnson si è detto pronto a sostenere un nuovo «Trump deal», in sostituzione al JCPOA.