Dopo una caccia durata cinque anni, Abu Bakr al-Baghdadi, il massimo leader dell’Isis, padre fondatore del Califfato e predicatore degli orrori della “guerra santa”, è stato ucciso durante un raid americano nella zona di Idlib, nella Siria settentrionale. Grazie anche all’apporto della Cia è stato individuato nel compound in cui si nascondeva in compagnia di alcuni familiari. L’incursione è durata circa quattro ore. Otto elicotteri e due droni hanno prima sorvolato la zona, poi hanno colpito e da quel momento è partito a terra lo scontro a fuoco. Lui stesso ha fatto saltare la sua cintura esplosiva per suicidarsi e non cadere prigioniero in mano degli Stati Uniti, due delle sue mogli sono rimaste vittime dell’esplosione.
I soccorsi che hanno raggiunto il luogo hanno dato conferma di sette corpi senza vita (tre donne, tre uomini e un bambino) e l’assistenza medica a cinque feriti. Una fonte militare riporta che sono state sostenute le analisi biometriche che avrebbero confermato Abu Bakr al-Baghdadi come una delle vittime del raid.
L’annuncio ufficiale arriva da Donald Trump anticipando prima su Twitter: «È successo qualcosa di davvero grande!»
Durante la conferenza stampa indetta dalla Casa Bianca ha dichiarato: «Il terrorista numero uno al mondo si è fatto saltare in aria dopo essere fuggito in un vicolo cieco, piangendo e urlando. Ha ucciso anche tre dei suoi figli. Sotto la mia direzione abbiamo distrutto il Califfato. I terroristi non devono dormire sonni tranquilli».
Un successo per il presidente Usa, specialmente dopo le innumerevoli critiche ricevute dopo la decisione di ritirare le sue truppe schierate a Rojawa, sul confine tra Siria e Turchia, dando così a Erdogan il via libera per la sua offensiva militare contro il popolo curdo. Da allora Trump è stato travolto da un’ondata di accuse di “tradimento” nei confronti dei curdi, alleati americani nella lotta contro l’Isis.
I social media e siti web legati allo Stato islamico inizialmente non hanno confermato l’accaduto, ma esortano i seguaci di tutto il mondo a “continuare con la jihad” anche nel caso in cui la notizia fosse vera. Fino alla definizione del loro leader di “martire della guerra santa” e all’annuncio del suo successore: Abdullah Qardash.
Rivendicano il ruolo nell’operazione anche Turchia e Iraq: «Prima dell’operazione nella provincia di Idlib, è avvenuto uno scambio di informazioni e un coordinamento tra le autorità militari di entrambi i Paesi». Lo scrive su Twitter il ministero della Difesa turco. «Le forze armate irachene hanno svolto un ruolo importante nel fornire informazioni agli Usa nelle operazioni per uccidere al-Baghdadi», ha invece detto il portavoce, il generale Tahseen al-Khafaji.
«Un’operazione storica e di successo grazie a un lavoro congiunto di intelligence con gli Stati Uniti d’America» scrive su Twitter il generale Mazloum Abdi, il leader militare dei curdo-siriani, senza tuttavia parlare del raid contro il capo dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi.
Abu Bakr al-Baghdadi è il nome di battaglia utilizzato dal terrorista iracheno Ibrahim Awad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai, autoproclamato a giugno 2014 “califfo” dello Stato Islamico, organizzazione jihadista scaturita in alcuni territori dell’Iraq e della Siria.
Ma prima, all’epoca dell’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003, entra a far parte del movimento islamista di Al Qaida e forma un piccolo gruppo di forze armate. A febbraio del 2004 viene arrestato dai soldati americani a sud di Baghdad, ma viene rilasciato a dicembre dello stesso anno perché considerato “prigioniero di basso livello” dalla commissione – non ben definita – Combined Review and Release Board. Una decisione che ha dato ispirazione negli anni a una serie di teorie del complotto.
Il 18 aprile 2010 muore il del capo dello Stato islamico Abu Omar al-Baghdadi e viene annunciata la nomina di leader proprio a Ibrahim Awad, che prende il nome di Abu Bakr. Un mese dopo, il 16 maggio, annuncia l’alleanza con Al Qaida, guidata da Ayman al Zawahiri, ma in poco tempo inizia a sfidare l’autorità del successore di Bin Laden (ucciso nel 2011). Da questo momento il suo nome figura tra i terroristi più ricercati dal governo americano, che per la sua cattura ha fissato una taglia di 25 milioni di dollari.
Con l’intensificazione della guerra siriana nel 2013 e il quasi totale ritiro delle truppe governative siriane dal nord e dall’est del Paese, i soldati di al-Baghdadi prendono facilmente il controllo della città siriana Raqqa e l’irachena Mosul. Forte di questi successi militari, rompe i rapporti con Al Qaida e si rivela al resto del mondo: appare in un video dove si trova in moschea a pronunciare un sermone in cui ordina ai fedeli musulmani di obbedirgli e si autoproclama “califfo” dell’area che si estende dalla provincia di Aleppo (Siria) a quella di Diyala (Iraq). Conquista così i cuori di migliaia di giovani disadattati di mezzo mondo in cerca di una ragione per vivere e morire.
Fin da subito iniziano a diffondersi notizie false sulla morte del califfo. La prima il 10 novembre 2014, quando l’Iraq afferma che al-Baghdadi è rimasto ferito in un raid aereo sulla città irachena Al Qaim. L’allora ministro degli Esteri Ibrahim al-Jaafari, scrive su Twitter che era stato ucciso, il Pentagono annuncia di aver colpito un convoglio di leader dell’Isis ma senza confermare la sorte del califfo.
Ad agosto 2014 i miliziani dell’Isis avviano nel nord dell’Iraq il massacro e la riduzione in schiavitù di migliaia di appartenenti alla minoranza religiosa degli yazidi. Cominciano poi a diffondere una serie di video nei quali vengono mostrate le decapitazioni di ostaggi occidentali. Poco dopo gli Stati Uniti danno il via ad una serie di bombardamenti, colpendo anche Raqqa, la capitale simbolica dell’Isis. A gennaio 2015 lo Stato Islamico è all’apice della sua espansione territoriale, detenendo il controllo su un’area di 88mila chilometri quadrati, tra la Siria occidentale e l’Iraq orientale, nella quale vivono quasi 8 milioni di persone. Le entrate ammontano a miliardi di dollari, grazie al contrabbando del petrolio, alle estorsioni e ai rapimenti di ostaggi.
Ad aprile dello stesso anno alcuni media iraniani diffondono la voce secondo cui al-Baghdadi sarebbe morto in un ospedale israeliano dopo essere stato colpito da un raid aereo. Il governo iracheno rende noto che il califfo è rimasto coinvolto in un raid dell’aviazione di Baghdad nell’ovest del Paese e che è stato portato via d’urgenza, ma il 12 ottobre fonti mediche locali riferirono che non risultava né tra i feriti né tra i morti dell’operazione. E ancora, l’11 giugno 2016 la televisione di Stato di Damasco a riferisce che al-Baghdadi è stato ucciso in un raid su Raqqa il giorno precedente. Poi ancora la presunta morte in un raid russo sulla stessa città siriana a maggio, che Mosca precisa di non poter confermare al 100%. Poi le notizie si diradano.
Nel marzo 2016 l’esercito del governo siriano riconquista l’antica città di Palmira, perdendola però di nuovo a dicembre e definitivamente riconquistata nel marzo 2017. A luglio dello stesso anno le forze irachene liberano Mosul, ma il prezzo pagato è altissimo: in 10 mesi di battaglia muoiono migliaia di civili, la città viene in gran parte distrutta e circa 800mila persone perdono le loro abitazioni.
Ma a settembre del 2017 si diffonde un nuovo audio nel quale il Califfo cita i suoi seguaci a continuare la guerra santa. A ottobre le Forze democratiche siriane (Sdf) riprendono il controllo di Raqqa, mettendo fine a tre anni di dominio dell’Isis. A dicembre il governo iracheno dichiara la vittoria contro lo Stato Islamico, riprendendo il controllo del confine tra Iraq e Siria. A febbraio del 2019 Donald Trump dichiara che l’Isis è prossimo alla sconfitta, dopo settimane di battaglia per la riconquista degli ultimi territori in mano jihadista.
Il 23 marzo le milizie curdo-siriane annunciano la caduta di Baghuz, ultimo baluardo dell’Isis: è la totale eliminazione del cosiddetto califfato e la sconfitta territoriale al 100% dell’Isis. Gli 007 iracheni sostengono che il capo sia nascosto nel deserto lungo il confine tra i due Paesi, ma il 29 aprile, la ricomparsa in un video del ‘califfo’ al-Baghdadi, la prima in cinque anni: 18 minuti in cui parla della “guerra ai crociati” e altri tempi di attualità, come la battaglia tra curdi e jihadisti.
Lo scorso settembre l’ultimo segnale: un audio dal titolo “Agite!” dove al-Baghdadi esorta i seguaci a raddoppiare gli sforzi nella predicazione, nei media, nel militare e nella sicurezza.
La notizia del suo successore non tarda ad arrivare. Alcune fonti fanno il nome di Abdullah Qardash, che sarebbe stato scelto nell’agosto scorso proprio dal califfo come numero uno della divisione “Muslim affairs” dell’Isis. Di lui non si sa molto, se non che si tratta di ex militare iracheno che ha servito sotto il mandato di Saddam Hussein. L’ex ufficiale della Cia Robert Baer, esperto di Medio Oriente e terrorismo ha dichiarato «Sarà sicuramente più efficace e pragmatico, o forse più razionale. Le atrocità compiute da al-Baghdadi hanno reso lo Stato islamico inaccettabile per la stragrande maggioranza de musulmani, anche per alcuni di quelli allineati su posizioni più radicali».