Su il sipario per la 33esima edizione del Noir in Festival, l’evento dedicato agli appassionati di libri e film nel campo del giallo, del mystery e del thriller. La manifestazione, che per il 2023 ha luogo dal 1 al 7 dicembre a Milano, è stata organizzata da Giorgio Gosetti, Marina Fabbri e il Rettore della IULM Gianni Canova, in collaborazione con la Direzione Generale Cinema del MIC, l’Università IULM, la Cineteca Italiana, Casa Manzoni e altre associazioni del settore. Patrocinato dal Comune di Milano, il Festival accoglie scrittori e registi del calibro di Giancarlo De Cataldo, Neil LaBute e Daniel Pennac.
Ed è proprio l’autore francese a inaugurare l’edizione del 2023. Intervistato dal giornalista di Repubblica Stefano Bartezzaghi sul palco dell’Auditorium di IULM 6, Pennac racconta del suo rapporto con l’atto creativo, approfondisce alcuni temi fondanti la sua opera e offre riflessioni sull’epoca che stiamo vivendo.
Individualismo e letteratura
Incalzato dalle domande di Bartezzaghi, l’artefice della decennale saga di Malaussène – da qualche mese giunta ormai al “capolinea” – è riuscito a catturare l’attenzione del pubblico in sala per oltre un’ora. Personaggio eclettico e di rara genialità, nelle prime battute del dialogo Pennac ha portato avanti un discorso di carattere sociologico sull’individualismo che permea la nostra epoca.
Riconosciuti in Internet e nel cellulare i reali avversari di un ideale di condivisione collettiva, ha quindi passato in rassegna gli esiti nefasti di questa tendenza solipsistica in ambito politico, citando i casi di Trump e Milei su tutti.
E che cosa può fare la letteratura di fronte alla solitudine dell’uomo di oggi? Pennac non ha dubbi: «La letteratura unisce le persone, ma non riducendo la loro individualità. È questo il paradosso della letteratura».
Multietnicità e famiglia
La presentazione si è poi spostata su multietnicità e famiglia, due temi fondanti del ciclo di Malaussène, incarnati dal quartiere Belleville, protagonista indiscusso di tutti i romanzi. Infatti, fin dall’avvio della saga nel 1985 con Il Paradiso degli Orchi (Feltrinelli), le vicende della famiglia del capro espiatorio Benjamin Malaussène si dipanano nello sgarrupato quartiere multietnico di Parigi.
«Belleville è il sud del mondo», ha detto Pennac. Non è la Parigi del V arrondissement, con il suo Pantheon e il Jardin des Plantes. Ma un crogiolo di etnie e culture. Arabi, nord africani, ebrei, armeni e francesi si incontrano in un vortice di vitalità e accoglienza. I canti salmodianti dei muezzin si mescolano con il profumo delle boulangeries che sfornano baguettes e pains au chocolat. Belleville brulica di personaggi chiassosi, sopra le righe, ironici, pieni di pregi e difetti. Ma, in ogni caso, umani.
Lo stesso vale per la famiglia di Malaussène. Una famiglia sgangherata, tutt’altro che tradizionale. Come definita da Pennac, «elettiva». Fatta di fratellastri, sorellastre, cugini, amici e di un cane epilettico, Julius. I rapporti umani vanno oltre il vincolo di sangue e, come Belleville, sono tumultuosi, ironici e sinceri.
Un messaggio profondo quello di Pennac, in un’Europa dilaniata dai contrasti etnici e dalle controversie sul concetto di famiglia. Che ci ricorda che vivere insieme è possibile, ma solo accettandosi e lasciandosi trasportare dalla bellezza nelle differenze reciproche.
La creatività al lavoro: un aneddoto su Nabokov
Concludendo l’analisi animata dal ricordo di Belleville, Bartezzaghi, che alla IULM insegna “Semiotica della creatività”, pungola Pennac circa il suo modo di lavorare. L’invito è quello ad approfondire per il pubblico la natura del suo atto creativo. Pennac non è un amante degli schemi, ma riesce a trovare una risposta folgorante per soddisfare la domanda senza contraddirsi.
La creatività – suggerisce – «è il miracolo laico dell’incarnazione». Niente che possa ridursi a schema, dunque. Solo la vitalità di un processo che trova senso e interesse nell’unicità del momento creativo. «Inizialmente raccontavo Malaussène. Ma quando sai come va a finire soltanto la scrittura diventa interessante. E la scrittura è la lingua, l’immergersi nella lingua».
Poco dopo, a proposito di una citazione di Vladimir Nabokov, Pennac sembra quasi voler dare una dimostrazione di quanto detto. Si alza e propone di raccontare un aneddoto su Nabokov. Lo scrittore russo, infatti, ha vissuto per alcuni anni a Parigi, non lontano da casa di Pennac, che da bambino era solito andarlo a trovare. Pennac lascia allora riecheggiare le parole dell’autore di “Lolita” nel riferire una bizzarra storiella a proposito di un uomo che, durante una traversata oceanica, perde una coppia di preziosi gemelli in mare.
Con ampi gesti e una narrazione decisamente teatrale, lo scrittore trasporta il pubblico in un viaggio breve ma lontano, prima di rompere l’incantesimo con un colpo di scena finale: «Questo è quello che mi ha detto Nabokov, ma io non l’ho mai conosciuto». Un nulla di fatto, insomma. Ma una resa vivida, quasi magica, dell’umanità e delle sue passioni. Questa è la creatività: un paradossale tuffo nella lingua sulle ali dell’immaginazione. Parola di Daniel Pennac.
A cura di Alessandro Dowlatshahi, Ettore Saladini e Davide Aldrigo