Papa Francesco è stato indubbiamente un pontefice di rottura con i suoi predecessori. Egli è stato per molti aspetti un “rivoluzionario” in seno alla Chiesa cattolica. Il suo papato sarà ricordato per decise prese di posizione, innumerevoli viaggi apostolici, appelli importanti ai leader del mondo e molto altro. Ma Francesco ha saputo lasciare un segno prima di tutto tra le mura del Vaticano, dove ha promosso significative riforme per mantenere la Chiesa al passo con i tempi e far fronte ai mutamenti della cristianità e del mondo.
Un papa di rottura con la tradizione della Chiesa
L’elezione di Francesco nel 2013 fu un’innegabile svolta rispetto alla successione dei papi avvenuta sino ad allora. Il nuovo papa era infatti il primo gesuita e il primo cardinale proveniente dal continente americano ad essere eletto al soglio pontificio. Ma anche il primo a utilizzare il nome di uno dei santi più famosi, nonché patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi.
Una Chiesa povera e per i poveri
Il richiamo al patrono d’Italia è già il manifesto di un programma apostolico, dichiarato esplicitamente tre giorni dopo l’elezione. «Francesco d’Assisi. È per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato una relazione non tanto buona, no? È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero… Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». Una scelta precisa, che già mostrava il desiderio di andare controcorrente rispetto alla ricchezza e all’opulenza che hanno contraddistinto la Chiesa per secoli di storia.
È questa forza di rottura, anche solo apparente, unita a un sincero desiderio di ecumenismo, ad aver reso Papa Francesco così popolare tra alcuni e così inviso ad altri. Già le ricostruzioni del Conclave individuavano un dualismo preciso nel collegio cardinalizio. Se una parte degli elettori sentiva l’esigenza di una svolta, poi ottenuta eleggendo quel vescovo “venuto dalla fine del mondo”, come disse lui, c’era anche un fronte più conservatore, che puntava sull’Arcivescovo di Milano Ettore Scola.
Alla ricerca di un equilibrio tra fronti contrapposti
Il papato del vescovo argentino comincia quindi già segnato da un equilibrio precario. In alcuni casi, come vedremo più avanti, la divisione sarà accentuata dai progetti riformisti di Bergoglio o dalle sue prese di posizione. Ma è opportuno ricordare anche aspetti più concilianti del suo pontificato. Anzitutto, la sinodalità: dopo solo un anno e mezzo di pontificato, nel 2014 Papa Francesco convocò il Collegio episcopale (l’insieme di tutti i vescovi), per un’assemblea generale straordinaria dal titolo “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”.
In secondo luogo, si deve riconoscere lo sforzo profuso dal pontefice in direzione di un ecumenismo autentico. Quando si parla di ecumenismo, spesso il discorso si mantiene sul piano più ampio, quello della fratellanza tra i cristiani di tutte le confessioni. Papa Francesco si è mostrato più volte accogliente in questo senso, ma è ben chiaro che il suo modo di intendere la comunità cristiana abbia delle ricadute anche intra-cattoliche. Infatti, all’interno del cattolicesimo permangono rivalità e divergenze tra fedeltà e devozioni diverse, che il pontefice ha sempre chiamato al dialogo e al rispetto reciproco. Il suo non è mai stato un appello all’omologazione, ma piuttosto un’esortazione affinché i movimenti cattolici coesistessero con le chiese locali senza isolarsi o rivendicare diritti esclusivi.
La Chiesa di Bergoglio è una realtà inclusiva, anche e soprattutto a livello globale. Un’ulteriore prova è data dai concistori per la creazione di nuovi cardinali. Nel corso dei suoi dieci anni di pontificato, Papa Francesco ha convocato nove concistori, per un totale di 142 cardinali creati (di cui 113 elettori, cioè partecipanti al Conclave). Essi provengono da 70 nazioni, fra le quali ben 22 non avevano mai avuto prima un cardinale. Per rendere la misura, Benedetto XVI, pontefice per quasi otto anni, ha convocato 5 concistori, per un totale di 90 cardinali creati, provenienti da 37 nazioni diverse. Fra queste, però, erano solo 3 quelle che non avevano avuto un cardinale prima.
Il rapporto con Benedetto XVI
Proprio il rapporto con il suo predecessore è stato un elemento caratteristico del pontificato di Francesco. La presenza di un papa emerito, vivo, vegeto e in qualche modo operante, ha rappresentato una novità assoluta per la storia della Chiesa. In pubblico i due si sono sempre mostrati in ottimi rapporti e Francesco ha speso più volte parole di stima nei confronti del suo predecessore tedesco, elogiandone l’operato e lodandone la disponibilità nei suoi confronti.
È pur vero, però, che Bergoglio non poteva essere più diverso da Ratzinger. Anche in Vaticano quindi, il caloroso papa argentino avrà dunque dovuto fare i conti con l’ombra del suo austero predecessore, rispettatissimo teologo e ben più conservatore nelle posizioni. In particolare dopo la morte di Benedetto XVI, c’è stato chi ha provato a presentare l’atmosfera intorno al pontefice come una sorte di guerra civile fra il fronte riformista di Francesco e quello più intransigente che si riconosceva maggiormente in Benedetto XVI.
L’inclusività divisiva
Il rapporto di Papa Francesco con la comunità LGBT+ è stato, ed è tuttora, uno dei temi più divisivi e controversi del suo pontificato. La netta e recente apertura del pontefice alla comunità ha avviato un cambiamento storico. Tuttavia, c’è chi ne sottolinea le incongruenze e, ovviamente, non manca chi vi si oppone.

Papa Francesco ha infatti deciso di percorrere la strada dell’inclusività e dell’accoglienza, impegnandosi ad abbattere le cosiddette “dogane pastorali”. «Nella Chiesa c’è spazio per tutti. Così come siamo», con queste parole il pontefice si è rivolto ai giovani in occasione della GMG di Lisbona, in un discorso che avrebbe fatto da preludio alle successive aperture.
Due le decisioni rivoluzionarie: l’autorizzazione alle benedizioni delle coppie dello stesso sesso e lo storico sì al battesimo per gli omosessuali e per le persone transgender, alle quali viene anche data la possibilità di fare da padrini e da madrine. È dunque una Chiesa per tutti, ma a delle condizioni. Una persona transgender, ad esempio, può essere battezzata in situazioni in cui «non c’è il rischio di generare pubblico scandalo», così come un bambino di una coppia omoaffettiva, anche adottato con gestazione per altri, può ricevere battesimo a patto che venga educato nella religione cattolica.
Insomma, l’accoglienza mostrata dal pontefice nei confronti della comunità LBGT+ ha causato non poche polemiche, soprattutto nel fronte conservatore della Chiesa, già apertamente schierato contro Papa Francesco. I dissapori tra le parti hanno caratterizzato il suo pontificato fin dagli albori, dalla controversa scelta di concedere la comunione ai divorziati risposati, fino all’estremo progressismo sociale del pontefice.
Controversie sulla sessualità e sulla morale
Le posizioni rivoluzionarie di Papa Francesco sono state la principale causa di divisione all’interno della Chiesa. Al di fuori, però, le critiche mosse dall’opinione pubblica al suo Pontificato hanno riguardato soprattutto il tema della sessualità e della morale.
Nel 2013, infatti, il Papa si è mostrato in pubblico con Godfried Danneels, accusato di aver ignorato le denunce contro alcuni preti della sua diocesi, responsabili di abusi sessuali. Nel 2014 gli è, inoltre, rimproverato l’attendismo su don Mauro Inzoli, poi condannato per abusi su minori e dimesso solo nel 2017.
Il malcontento per alcune decisioni del Papa arriva anche da oltreoceano, quando in Cile viene nominato vescovo di Osorno Juan de la Cruz Barros Madrid, accusato dall’opinione pubblica di aver coperto l’amico e sacerdote, riconosciuto colpevole di pedofilia, Fernando Karadima. Papa Francesco ha subito difeso il vescovo, secondo lui colpevolizzato «senza avere nessuna prova» e con un’unica accusa «screditata dalla Corte di Giustizia». Nel 2018 lo stesso Pontefice in una lettera inviata ai vescovi del Cile ammette di essere «incorso in gravi errori di valutazione e percezione della situazione».

A destare clamore nel 2015 è, poi, il rifiuto da parte del Vaticano della nomina del governo francese di Laurent Stefanini come nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. Rifiuto che sarebbe arrivato per via dell’omosessualità del diplomatico. Infine, nel 2017 l’episodio più discusso: in San Pietro vengono solennemente celebrati i funerali del cardinale Bernard Francis Law. Negli anni duemila, l’allora vescovo di Boston si ritrovò al centro del più vasto scandalo di pedofilia della storia della Chiesa, portato alla luce dai giornalisti del Boston Globe, poi premiati con il Pulitzer. Il sacerdote venne accusato di aver protetto, nascosto e spostato di sede moltissimi preti pedofili, tenendone segreti i crimini.
Anche l’Onu, nel 2014 si è schierata contro la Chiesa. La Commissione per i diritti dei minori di Ginevra ha infatti accusato la Santa Sede di non aver «preso le misure necessarie per affrontare i casi di abusi sessuali sui bambini e per proteggerli». Inoltre, viene sottolineato come i responsabili delle violenze siano stati spostati di parrocchia in parrocchia «in un tentativo di coprire questi crimini» e come «la denuncia dei reati sia stata fortemente ostacolata dalla Chiesa».
In risposta, Papa Francesco ha deciso di istituire la Pontificia commissione per la tutela dei minori con il preciso scopo di arginale la pedofilia clericale. Anch’essa però non è stata esente dalle critiche e spesso ne è stata messa in dubbio l’utilità. Nel 2017, Maria Collins, membro della commissione vittima di violenza a 13 anni, si dimette e accusa: «il nostro lavoro viene vanificato o respinto dagli stessi Dicasteri della Curia romana».
Le riforme di Francesco
Quale che fosse il clima nei palazzi vaticani, Francesco ha voluto dare al suo pontificato una precisa impronta riformistica, che rimarrà come il lascito più concreto del suo rapporto con la Chiesa. Gli interventi di rinnovamento voluti dal Papa possono essere ascritti a cinque categorie.
La riforma della Curia: la comunicazione
In ordine cronologico, la prima riforma di Francesco ha riguardato la Curia romana, ovvero l’insieme degli organi che costituiscono l’apparato amministrativo della Santa Sede. È il “governo della Chiesa”, che a un mese esatto dalla sua elezione, il 13 aprile 2013, Papa Francesco annuncia, tramite la Segreteria di Stato, di voler revisionare. A questo scopo costituisce un gruppo di otto cardinali, provenienti da ogni continente, con l’intento di redigere una nuova Costituzione apostolica – termine con cui si indicano i documenti promulgati dal papa in qualità di capo di Stato – per la regolamentazione della Curia. Il processo ha richiesto molto tempo ed è stato articolato in diverse tappe. La riforma ha infatti coinvolto diversi dicasteri.
Dapprima, nel 2015, è stata istituita la Segreteria per la comunicazione (dal 2018 Dicastero per la comunicazione): questo organo testimonia l’impegno della Santa Sede nella ristrutturazione di «tutte le realtà che, in diversi modi, fino ad oggi, si sono occupate della comunicazione», al fine di «rispondere sempre meglio alle esigenze della missione della Chiesa». I cinque indirizzi ai quali si rivolge l’attività del dicastero sono dunque direzione degli affari generali, direzione editoriale, direzione della sala stampa della Santa Sede, direzione tecnologica e direzione teologico-pastorale. Lo Statuto è entrato in vigore il 1° ottobre del 2016.
La riforma della Curia: due nuovi dicasteri
In secondo luogo è stato costituito nel 2016 il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, nel quale sono confluite le competenze e le funzioni di due organi precedenti, il Pontificio consiglio per la famiglia e il Pontificio consiglio per i laici. Dall’articolo 1 dello Statuto risulta che «il Dicastero è competente in quelle materie che sono di pertinenza della Sede Apostolica per la promozione della vita e dell’apostolato dei fedeli laici, per la cura pastorale dei giovani, della famiglia e della sua missione, secondo il disegno di Dio e per la tutela e il sostegno della vita umana». Tra le responsabilità del Dicastero, dunque, rientrano l’accompagnamento delle aggregazioni e movimenti laicali, la loro costituzione se di carattere internazionale e l’approvazione o riconoscimento degli statuti, dove richiesto dalle norme canoniche.
Il Dicastero promuove anche attività e iniziative di carattere internazionale legate all’apostolato dei laici, ai giovani, all’istituzione matrimoniale e alla realtà della famiglia e della vita nell’ambito ecclesiale. Tra queste iniziative figurano anche la Giornata Mondiale della Gioventù e l’Incontro Mondiale delle famiglie, ma anche l’indicazione delle linee direttive per la formazione dei fidanzati e degli sposi, delle famiglie disposte all’adozione, della cura degli anziani, della prevenzione dell’aborto e della tutela della vita e delle donne in gravidanza.
Nello stesso anno è stato costituito anche il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Questa istituzione raccoglie quattro le attività di quattro Pontifici consigli: giustizia e pace, Cor Unum (sollecitudine verso i bisognosi), pastorale per i migranti e gli itineranti e pastorale per gli operatori sanitari. Il Dicastero si occupa di promuovere la dignità della persona umana. Per farlo, si interessa principalmente alle questioni relative all’economia e al lavoro, alla cura del creato e della terra come «casa comune», alle migrazioni e alle emergenze umanitarie. Ne ha fatto parte anche la commissione vaticana COVID-19, voluta da papa Francesco allo scoppio della pandemia.
La riforma della Curia: una nuova Costituzione apostolica
La riforma della Curia si è conclusa, come anticipato sopra, con la pubblicazione di una nuova Costituzione apostolica, la Praedicate evangelium (“Predicate il Vangelo”), entrata in vigore il 5 giugno 2022. La nuova Costituzione abroga la precedente Pastor bonus, promulgata da Papa Giovanni Paolo II nel 1988. La prima novità introdotta riguarda la terminologia. La parola “Dicastero” va a sostituire i termini di “Congregazione” e “Pontificio consiglio”. I Dicasteri vengono riconosciuti parte delle “Unità curiali”, ovvero degli organismi che formano la Curia. Le Unità curiali sono quindi raggruppate nelle “Istituzioni curali”, all’interno delle vengono introdotti anche gli Organismi economici, già eretti da papa Francesco come Segreteria per l’economia, Consiglio per l’economia, Ufficio del Revisore generale, Commissione di materie riservate e Comitato per gli investimenti.
A quelli degli anni precedenti si aggiungono poi nuovi Dicasteri. L’Elemosineria apostolica, che prima era un’istituzione esterna alla Curia, viene integrata in essa con il nome di Dicastero per il servizio della carità. Sono eretti inoltre il Dicastero per l’evangelizzazione, presieduto direttamente dal papa, e il Dicastero per la cultura e l’educazione. Con l’ingresso di questi ultimi, il numero complessivo dei Dicasteri in attività sale a 16.
Coerentemente con la spinta alla sinodalità promossa dal papa, la nuova Costituzione apostolica relativa alla Curia decreta una maggiore collaborazione degli organismi curiali con le Conferenze episcopali locali (nazionali e sovranazionali). Lo scopo è favorire la decentralizzazione di alcune competenze, permettendo ai vescovi diocesani di poter disporre di quelle questioni che conoscono da vicino.
Di grande rilevanza è la funzione che la nuova Costituzione apostolica attribuisce ai laici per quanto concerne gli incarichi curiali. Il testo, infatti, concede a tutti i battezzati di ricoprire ruoli di governo nella Curia, prima affidati solo ai chierici. L’idea è che ogni cristiano, in virtù del Battesimo ricevuto, è chiamato ad essere un discepolo-missionario a servizio della Chiesa e del mondo e in quanto tale possa svolgere qualsiasi compito assegnatogli dal Pontefice.
La riforma dello IOR: la fase informativa
Come per la Curia, anche la riforma dello IOR ha seguito diverse tappe prima di potersi dire conclusa. L’Istituto per le Opere di Religione fu fondato nel 1942 da papa Pio XII e provvede alla custodia e all’amministrazione dei beni (mobili e immobili) trasferiti o affidati alla Santa Sede e destinati a opere di religione e carità. A causa degli scandali emersi negli anni intorno a questo organismo, giudicato strumento di riciclaggio e illeciti, i suoi apparati amministrativi sono stati più volte oggetto di interventi da parte dei pontefici che si sono succeduti negli ultimi decenni.
Il primo contributo di Papa Francesco in questa direzione è stata l’istituzione, nel 2013, di una “Pontificia Commissione sull’Istituto per le opere di religione” con il compito di raccogliere informazioni sulla posizione giuridica e sulle varie attività dello IOR. Nel febbraio 2014 la commissione ha portato a termine l’incarico e pochi mesi dopo il papa stesso ha comunicato l’avvenuta chiusura di 1600 conti intestati a persone che non ne avevano diritto.
La riforma dello IOR: la fase attuativa
Si può dire però che la vera riforma dello IOR sia stata operata in anni più recenti. Nel 2019 il pontefice aveva rinnovato, ad experimentum per due anni, gli Statuti vigenti dal 1990, con una novità importante: l’introduzione di un revisore esterno (persona o società), nominato dalla Commissione cardinalizia su proposta del Consiglio di Sovrintendenza e deputato alla revisione legale dei conti. Si trattava di una prassi già in uso, ma la sua inclusione nello Statuto ha rappresentato un passo avanti per la trasparenza dell’Istituto.
A completare la riforma, il 7 marzo 2023 è stato pubblicato il nuovo Statuto. In questo documento il pontefice ha ribadito funzioni e organi dell’Istituto, definendo in cinque anni la durata dei mandati (con una sola opzione di rinnovo eventuale) e cercando di rendere più snella la struttura di governo. Inoltre, onde evitare conflitti di interessi, lo Statuto stabilisce il carattere non simultaneo dei mandati della Commissione cardinalizia e del Consiglio di Sovrintendenza, le cui responsabilità vengono delineate e distinte con accuratezza nel testo.
La riforma del Codice Penale vaticano
Papa Francesco è intervenuto più volte durante il suo pontificato anche in materia di giustizia, apportando diverse modifiche al Codice Penale vaticano. La prima grande riforma attuata da Bergoglio risale al motu proprio – un documento o una decisione presa di propria iniziativa da chi ne ha le facoltà – del 2013 ed era necessaria. La legislazione vaticana era all’epoca ancora ferma al Codice Zanardelli e richiedeva quindi un adeguamento alle norme internazionali.
Tra i primi cambiamenti, l’abolizione della pena dell’ergastolo, sostituita da reclusione da 30 a 35 anni, l’inasprimento delle pene per i reati di corruzione e la regolamentazione dei criteri per l’estradizione. Sono stati poi ufficialmente riconosciuti come reati la tortura, i “delitti contro i minori” – come la vendita, la prostituzione, l’arruolamento e la violenza sessuale-, la pedopornografia, e i “delitti contro l’umanità”, ovvero genocidio e apartheid.
Negli anni successivi, Papa Francesco ha continuato a mettere mano alla giustizia. Nel 2021, ad esempio, con la costituzione apostolica Pascite Gregem Dei, ha riformato il libro VI del Codice di Diritto canonico. Il reato di abuso di minori, da lì in avanti, non è più stato considerato tra i reati contro gli obblighi speciali dei chierici, ma come reato commesso contro la dignità della persona. Nel 2023 il Pontefice si è poi impegnato in diverse occasioni, sempre con un motu proprio, a inquadrare più precisamente le funzioni inquirenti e requirenti dell’Ufficio del Promotore di Giustizia e ad armonizzare il diritto orientare a quello latino.
L’abolizione della pena di morte
Le riforme apportate da Bergoglio in merito a pene e reati non hanno solo riguardato il Codice Penale vaticano. Nel 2018, il Pontefice ha infatti riformulato il testo del Catechismo per dichiarare la pena di morte «inammissibile in quanto attenta all’inviolabilità e dignità della persona».
Il ricorso a tale pratica, infatti, prima di allora non era mai stato escluso in termini assoluti, anzi. Al punto 2267, il testo sanciva, infatti, che «l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani».
In una lettera a tutti i vescovi del mondo il Cardinale Ladaria ha inoltre spiegato come la scelta, frutto di una consapevolezza cresciuta alla luce del Vangelo, deve la sua origine alla volontà di «costituire una spinta a un deciso impegno, anche attraverso il dialogo con le autorità politiche, affinché vengano create le condizioni che consentono di eliminare oggi l’istituto giuridico della pena di morte laddove è ancora in vigore».
La riforma economica della Santa Sede
Fin dal primo anno di Pontificato, il Papa è intervenuto anche sull’economia della Santa Sede. Nel 2013 ha infatti istituito la Cosea, la Commissione referente di studio e indirizzo sull’organizzazione delle strutture economico-amministrative della Santa Sede. Il compito dei membri, laici ed esperti in materia, è offrire consulenze tecniche, favorire le riforme nelle istituzioni della Santa Sede, semplificare gli organismi e programmare più attentamente le attività economiche.
La commissione ha quindi tra le mani le carte più delicate delle finanza vaticane ed è per questo composta da figure di fiducia del Papa. È proprio in seno alla Cosea, però, che si produce l’ennesima puntata dello scandalo “Vatileaks”. Nel 2015 vengono, infatti, arrestati Francesca Immacolata Chaouqui, membro della commissione referente, e Luis Angel Vallejo Balda, segretario dell’ufficio del Revisore dei conti vaticano, per la divulgazione di documenti riservati riguardanti gravi scandali finanziari della Chiesa.
Nonostante tutto, però, la riforma economica di Bergoglio prosegue. Il passo successivo è l’istituzione della Segreteria del Consiglio per l’economia per armonizzare le politiche di controllo riguardo alla gestione economica della Santa Sede e della Città del Vaticano. Questa è un’assoluta novità: nessun Papa aveva mai pensato di istituire un vero e proprio dicastero economico nella Curia romana. La Segreteria prepara un budget annuale per la Santa Sede e pianifica la gestione finanziaria. Inoltre, redige il bilancio e mette in opera le direttive del Consiglio. Quest’ultimo è presieduto da un cardinale coordinatore e formato da 15 membri, 8 porporati e vescovi e 7 esperti laici in materia finanziaria.