Quest’anno la Giornata della Memoria potrebbe avere un valore diverso. Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, stanno crescendo sempre di più gli episodi di antisemitismo in Italia. Dall’ultimo sondaggio realizzato dall’Ugei (Unione Giovani Ebrei d’Italia) su oltre 4mila giovani ebrei tra i 18 e 35 anni nel nostro Paese, è emerso che almeno la metà di loro ha assistito o è stato vittima di aggressioni, insulti o minacce. L’allarme arriva anche dal Cedec (Centro di documentazione ebraica contemporanea): gli episodi sarebbero addirittura triplicati. La guerra in Medio Oriente sembra essere stato un punto di svolta in un problema sociale già esistente. Lo si vede dal numero di manifestazioni a favore dell’azione del gruppo terroristico, ma soprattutto dalla grande affluenza delle persone.
Un aumento dell’odio razziale che i governi occidentali hanno denunciato fin dall’inizio, ma che purtroppo per il Presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi, è stato trattato con «troppa indifferenza». La città, che ospita il Memoriale della Shoah, «arriva alla Giornata della Memoria con un clima non positivo e non bello», ha detto uno dei portavoce Daniel Nahum. Il 18 gennaio era infatti comparsa la scritta “Gaza, ebrei letame” su un muro vicino alla sinagoga. Una città che come molte altre ha subito delle deportazioni.
L’ingresso del Memoriale
La mattina di domenica 30 gennaio 1944, più di 600 cittadini di origine ebraica, tra cui la Senatrice Liliana Segre e la sua famiglia, furono condotti nei sotterranei della Stazione Centrale di Milano. Lì, sul binario 21 destinato ai carri postali, vennero spinti in una lunga fila di vagoni da bestiame per essere deportati al campo di concentramento di Auschwitz.
All’entrata del Memoriale della Shoah di Milano, si erge una scritta monumentale: “Indifferenza”. «Liliana Segre chiese durante la costruzione del museo che in questo muro ci fosse scritta questa parola. In passato, c’è stata indifferenza di fronte alla deportazione di milioni di persone, ma ancora oggi la viviamo», ha raccontato Meghnagi.
Negli ultimi anni l’affluenza al Memoriale è cresciuta notevolmente, ma secondo lui non sarebbe sufficiente ringraziare i visitatori: «Quest’anno chiediamo loro anche di essere forti, ricordare con noi le vittime del 7 di ottobre. Oggi vogliamo vedervi uniti contro questo terrorismo infame, insieme per difendere la democrazia».
Per Meghnagi il rumore del treno che echeggia tra le sale del Memoriale «è la cosa peggiore che si possa sentire lì dentro». Un rumore che ancora una volta gli ricorda Hamas: «Quello che è successo peserà sulla memoria delle generazioni future e noi oggi stiamo continuando a vivere nell’indifferenza. Si parla sempre meno delle morti causate da quei terroristi, così come delle grida antisemite durante le manifestazioni pro-Palestina. Perché non c’è una reazione forte da parte dei media? L’antisemitismo avanza con la disiformazione».
«Mia nipote è stata uccisa al rave party»
Tra le 250 vittime del rave party nel deserto di Re’im, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, c’era anche la nipote del Presidente. «Era una ragazza bellissima, aveva 23 anni. Ricordo che aveva atteso per oltre un anno quella festa. Mentre migliaia di giovani ballavano, sono arrivati i combattenti di Hamas e hanno cominciato a sparare. Lei era riuscita a scappare con la sua migliore amica, non la trovavano più».
Dopo quattro giorni di silenzio, arriva la notizia: «Quando hanno ritrovato il suo corpo io mi trovavo in Israele per rivedere mia figlia. Mi hanno raccontato che stringeva ancora la mano della sua compagna. Avevano sparato loro alle spalle». A stupirlo la reazione di suo cugino, il padre della ragazza: «Mi ha detto “è meglio così, che l’abbiano ammazzata” e io gli ho detto “ma tu sei matto?”, allora ha risposto “vedrai, sono più tranquillo”. Ho capito dopo che si riferiva agli stupri e alle torture che gli ostaggi avrebbero subito poco dopo».
L’ultimo messaggio di Meghnagi, forse sempre lo stesso ma questa volta ancora più carico di responsabilità, è la speranza che «i giovani non dimentichino». «Il 27 di gennaio chiederò ad alta voce di collaborare, agire insieme. Una cosa è certa: noi non perdoniamo. Questa è una cosa che non si può perdonare».
Guarda qui l’intervista a Roberto Jarach, presidente del Memoriale della Shoah di Milano
Leggi qui l’intervista a Michela Venezia, nipote del sopravvissuto all’Olocausto Shlomo Venezia