L’incontro tra Emmanuel Macron e i vertici del G5 è previsto per il 13 gennaio. A Pau, luogo del summit, sono attesi i Presidenti degli Stati del Sahel. È nel sud-ovest della Francia, quindi, che si discuterà la nuova linea di difesa della zona sud-sahariana.
Lo scopo ultimo del presidente francese è quello di rafforzare la presenza dei soldati in un territorio tanto martoriato e in crescente difficoltà. Al meeting sarà presente anche Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, e Moussa Faki, Presidente della Commissione dell’Unione Africana e Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo.
I Presidenti di Ciad, Niger, Burkina Faso, Mali, Mauritania, sono stati convocati da Macron nella speranza che questi confermino l’appoggio alle truppe francesi. Non ultimo è il desiderio di smuovere le altre forze europee.
Il perché del summit
A dare origine all’incontro sono stati gli 89 soldati nigeriani uccisi nel campo di Chinegodar, vicino al Mali, giovedì 9 gennaio. Ma un vertice era previsto da tempo. Le recrudescenze nei confronti delle truppe francesi e i sempre più crescenti attacchi jihadisti hanno fatto sì che l’attenzione francese si alzasse.
Nella zona si sta verificando una violenza senza precedenti. A dichiararlo è l’Onu. Le morti del 2019 sono state 4000, contro le 770 dei tre anni precedenti. Il focus degli attacchi terroristici si sta spostando; fino a qualche anno fa le forze jihadiste si concentravano in Mali, poi hanno incominciato ad attaccare i Paesi vicini, Niger e Burkina Faso. In Burkina si è passati da 80 morti nel 2016 a 1800 nel 2019. Sono mezzo milione le persone costrette a spostarsi dai villaggi, di queste, 25 mila sono state costrette a rifugiarsi in un altro Stato.
Una lotta al terrorismo islamico, questo si dice ai vertici. Non si esclude, però che in gioco ci sia la credibilità della Francia, per il coinvolgimento in una battaglia che non sta vincendo; oltre che i suoi interessi in Ciad e in Niger, rispettivamente per il petrolio e l’uranio.
Le forze sul campo
L’impiego di nuove forze sul campo era già stato annunciato da Macron, il 6 dicembre. La nuova lotta contro la jihad prevederà 1,3 miliardi di euro, di cui 800 mila euro messi dall’Europa e 500 mila dalla sola Francia. Cifre stanziate per sconfiggere i «professionisti nell’arte della guerra», così il Presidente del Niger Mahamadou Issoufou, ha definito le truppe jihadiste.
Oltre agli uomini francesi, 4500 in tutto, il Sahel conta anche la presenza Onu. MINUSMA, l’operazione della Nazioni Unite, è costituita da 15 mila unità, che includono truppe dall’Asia, Canada e Europa. Non si sa se, in seguito all’appello di Macron, si aggiungeranno altre forze a quelle già impiegate.
C’è chi ha accolto la notizia di un ulteriore intervento tiepidamente. Maureen Magee, del Consiglio dei Norwegian Refugee Council, lancia infatti un appello: «La risposta militare in Sahel è parte del problema». Secondo Magee, sono 80 mila le persone che sono state costrette a scappare dal Mali e dalle loro terre, nel 2019, a causa delle operazioni militari. Quello che ci si augura, quindi è che un ulteriore coinvolgimento nel territorio del Sahel parta dall’obiettivo primario di proteggere le popolazioni.
C’è un punto che sembra mettere d’accordo tutti: non si porrà fine alle violenze e all’instabilità con la sola azione militare. Per dare un reale supporto allo Stato maliano si dovrebbe mettere mano all’educazione, la sanità, la giustizia e ai servizi di base. Solo costruendo un Paese che possa garantire lavoro si può scongiurare che i giovani del Sahel cadano in mano di gruppi jihadisti. I soldi fatti col mercato illegale delle armi permette loro di sfuggire alla fame. E’ così che si uniscono alle fila jihadiste, e compongono un esercito che si perde nei confini invisibili del deserto.