Il 15 aprile è stato l’anniversario della guerra in Sudan. È uno scontro latente che ha attirato poca attenzione mediatica a livello internazionale. Eppure, si tratta di una delle crisi umanitarie peggiori del ventunesimo secolo. I profughi, le vittime, gli scontri tra fazioni, le modifiche delle rotte migratorie subsahariane. La guerra civile sudanese pone le sue radici nel secolo scorso. Ma non è mai stata presa sul serio. Quali sono le motivazioni? Perché è difficile parlarne?
La storia
Il principio di questa tela intricata va ritrovato nell’acquisizione dell’indipendenza del paese dall’Inghilterra, nel 1956. Il conflitto interno al Sudan ha portato nel 1989 a un colpo militare da parte di Omar al-Bashir, in carica per i successivi 30 anni. Durante il suo governo la crisi fra nord e sud del paese ha portato alla famosa secessione e alla nascita, nel 2011, dello stato più giovane del mondo: il Sud Sudan.
A causa delle proteste popolari al-Bashir crea le RSF (Forze di Supporto Rapido). Nel 2019 le RFS guidate da Mohamed Hamdan Dagalo (detto Hemedti) si sono unite all’esercito sudanese (SAF) di Abdel Fattah al-Burhan. Lo scopo era quello di rovesciare al-Bashir, ma è fallito. Nel 2021 le RFS e i militari hanno preso il pieno potere e hanno instaurato uno Stato militare.
Il consiglio militare che ha sostenuto il governo sudanese dal 2021 non è mai arrivato a un accordo. Significa che non è mai stato chiaro chi dovesse tirare le fila governative. Questi disaccordi all’interno dei vertici hanno portato all’acuirsi delle tensioni, che sono sfociate definitivamente il 15 aprile 2023.
L’inizio degli scontri
Sabato 15 aprile 2023 le RSF hanno attaccato la SAF nella capitale Khartoum. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sia le RSF che la SAF volevano il pieno controllo del paese. Dal 15 aprile gli scontri sono continuati senza sosta e sono stati sanguinosissimi. Le reti internet, le linee telefoniche e lo spazio aereo sudanese sono stati chiusi. Impossibile per l’opinione pubblica internazionale avere contatti rispetto a quanto stava accadendo nel paese. Ed è ancora così, a distanza di un anno.
Il problema è che il conflitto si è sparso a macchia d’olio sia nel nord che nel sud del Sudan. Tutto questo ha provocato lo sfollamento di milioni di persone. Nonostante l’intervento dell’ONU per marginare la crisi umanitaria provocata dagli scontri, la malnutrizione e le carestie sembrano essere irrefrenabili. Oltre al fatto che sia le RSF che la SAF stanno compiendo atrocità sulla popolazione, ormai da un anno.
L’ONU ha ritirato i propri inviati, per le forze internazionali è impossibile mandare aiuti. Oltre alle rivalità trai generali e le fazioni, la guerra civile sudanese è esplosa anche a causa della ricchezza del paese. La SAF controlla gli affari economici del paese da sempre. Ma le RSF hanno interessi nell’esportazione del settore minerario.
Una delle peggiori catastrofi umanitarie del 21° secolo
Il bilancio di un anno di guerra ha superato i 15.600 morti e un numero non calcolabile di feriti. Secondo il ministero della Salute sudanese la situazione potrebbe però essere molto più grave ma non ci sono dati ufficiali per confermarlo. Sul lato sfollati, il conflitto ha provocato circa 8 milioni di profughi, di cui 6.6 interni e almeno 1.8 sparsi negli Stati confinanti, inclusi Sud Sudan, Chad, Egitto, Etiopia e Repubblica Centrafricana.
Lo scenario non è migliore per il resto della popolazione. Più di un terzo dei 48 milioni di abitanti sudanesi stanno affrontando livelli catastrofici di carestia, dovuti allo stop delle coltivazioni e degli aiuti umanitari. Secondo le Nazioni Unite, sarebbero circa 230.000 i bambini malnutriti, un bilancio a cui vanno aggiunte le migliaia di donne incinta che rischiano la morte nei prossimi mesi a meno di interventi di soccorso massicci. Cercare aiuto in Sudan è però diventato impossibile. Le cliniche e gli ospedali sono stati quasi tutti distrutti.
Una crisi che si è propagata anche nel settore educativo. Le dozzine di università e scuole che un tempo attraevano studenti da tutto il Continente non hanno più riaperto dall’inizio degli scontri, facendo precipitare Khartoum nella peggiore crisi educativa del mondo.
Nonostante tutto, le atrocità continuano a crescere. L’epicentro è il Darfur, la regione occidentale vittima ormai di due decenni di violenza genocida. I civili vengono brutalmente uccisi, i villaggi dati alle fiamme con i rifugiati in fuga diretti verso il Chad volenterosi a non tornare mai più a casa.
Ma i finanziamenti delle agenzie continuano a diminuire. «Senza più risorse non solo non fermeremo la fame, ma non potremo aiutare più nessuno», ha commentato Justin Brady, capo dell’OCHA, l’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari ONU.