
Il Consiglio di Stato ha detto la sua: il Festival di Sanremo non potrà più essere affidato direttamente alla Rai. Gli appelli presentati da Viale Mazzini contro la storica sentenza del Tar Liguria sono stati respinti. Nessuna deroga, nessuna corsia preferenziale: in futuro, la kermesse dovrà essere assegnata attraverso una gara pubblica.
La decisione del Consiglio di Stato
Giovedì 29 maggio, il Consiglio di Stato ha ribadito la legittimità della linea tracciata a dicembre dal Tar ligure. Si apre dunque stagione delle gare competitive, con condizioni fissate nero su bianco: un corrispettivo minimo di 6,5 milioni l’anno per il Comune e almeno l’1% sugli introiti pubblicitari.
Il Tar aveva già stabilito che l’affidamento diretto violava i principi di concorrenza e trasparenza, imponendo al Comune di indire una gara pubblica per assegnare i marchi legati al Festival. Questo significa che, a partire dal 2026, le edizioni sanremesi non potranno più basarsi su convenzioni storiche e consuetudinarie.
Anche se la Rai è storicamente legata al format, il Consiglio di Stato ha ribadito che i marchi e i diritti collegati non sono “incorporati” in modo inscindibile alla TV pubblica. Tanto che, prima della scadenza del bando, circolavano ipotesi di nuovi format alternativi che la Rai avrebbe potuto organizzare altrove, in caso di esito sfavorevole. In definitiva, la decisione del Consiglio di Stato sancisce un principio chiave: Sanremo non è proprietà esclusiva di nessuno e, come evento di rilevanza nazionale, deve essere assegnato nel rispetto delle regole di mercato e della concorrenza.
La Rai resta l’unica in gara
Il bando pubblico, pubblicato ad aprile dalla giunta comunale guidata dal sindaco Alessandro Mager, ha chiuso ufficialmente i battenti il 19 maggio. E alla fine, come in molti prevedevano, a presentarsi è stata solo la Rai. Né Warner Bros. Discovery né Mediaset hanno voluto cimentarsi in questa sfida, lasciando campo libero alla TV di Stato. Un risultato che il sindaco ha definito con sobria soddisfazione, riconoscendo nella Rai il partner storico con cui Sanremo ha costruito negli anni successi clamorosi, basti pensare ai 65,2 milioni di raccolta pubblicitaria della passata edizione guidata da Carlo Conti.
Essere l’unico offerente, però, non significa che la Rai avrà carta bianca. Il bando prevede una fase negoziale, dove il Comune potrà comunque cercare condizioni più vantaggiose, forte del fatto che la legittimità della procedura è stata confermata ai massimi livelli giuridici. Dall’altra parte, anche la Rai potrà tirare sul prezzo, considerando limiti economici e contrattuali. In altre parole: il matrimonio si farà, ma i voti devono ancora essere scambiati.
La clausola antiflop
Uno degli aspetti più intriganti di questo bando è la cosiddetta clausola “antiflop”, un meccanismo che introduce per la prima volta una salvaguardia anti-debacle. Se gli ascolti del Festival dovessero scendere di oltre 15 punti percentuali rispetto alla media delle ultime cinque edizioni, il Comune avrebbe la facoltà di interrompere il contratto. Un vincolo che suona quasi simbolico, considerando che negli ultimi anni lo share ha ballato costantemente sopra il 60%, ma che comunque mette pressione al partner televisivo per mantenere alti gli standard.
Il bando, inoltre, prevede una serie di obblighi editoriali: non solo Sanremo, ma anche la trasmissione di “Sanremoinfiore”, la ripresa di almeno due eventi scelti dal Comune (uno dei quali estivo) e l’inclusione sul palco dei due vincitori di “Area Sanremo”. Senza dimenticare la posa annuale della targa con il nome del vincitore in via Matteotti, quasi una walk of fame all’italiana. Insomma, Sanremo non può permettersi di vivere solo cinque giorni l’anno: deve trasformarsi in un volano culturale e turistico continuo.
Investimenti e nodi da sciogliere
Il fatto che nessun’altra emittente si sia fatta avanti solleva interrogativi. È una dimostrazione della forza della Rai o piuttosto un segnale delle criticità del bando stesso? I discografici, ad esempio, non hanno tardato a farsi sentire.
Enzo Mazza, CEO di FIMI, ha dichiarato che l’impianto del Festival deve essere completamente rivisto, perché i rimborsi previsti fino al 2024 sono stati insostenibili sia per le major che per gli indipendenti. In altre parole, mentre il pubblico si gode il glamour e le canzoni, dietro le quinte ci sono equilibri economici sempre più delicati.