Si invecchia e ci si ammala, senza che il grande progresso medico e tecnologico degli ultimi decenni possa farci molto. La natura umana è fatta così. Un’inevitabilità che spesso nei maschi si manifesta sotto forma di cancro alla prostata. Secondo alcuni ricercatori, infatti, il numero di nuovi casi globali raddoppierà nello spazio di vent’anni, senza che interventi governativi o cambiamenti individuali possano evitarlo.
Più casi e più morti
Dagli 1.4 milioni di ammalati nel 2020 si passerà a 2.9 milioni nel 2040. Una crescita quasi senza controllo per la neoplasia alla ghiandola maschile, come dimostra lo studio annuale della Lancet Commission. Che, secondo l’urologo e autore del paper Nicholas James, non è in alcun modo prevenibile e porterebbe anche un picco di morti annue (+85% nei prossimi entro sedici anni, da 375mila a oltre 700mila). Tenendo conto che con ogni probabilità i dati sono una sottostima di quelli reali.
È infatti troppo tardi per invertire la curva demografica mondiale, che sta condannando – neanche troppo lentamente – l’umanità a un invecchiamento costante. Nulla c’entrano lo stile di vita o possibili misure di salute pubblica. L’aspettativa di vita aumenta, 2.5 anni in più in media tra il 2002 e il 2021 solo in Italia. E si fanno sempre meno figli (-20mila nascite tra 2022 e 2023 nel nostro Paese). Tendenze che rimangono vere per tutto il resto del pianeta, e che sono decisive in negativo per il forte aumento.
Cos’è il cancro alla prostata
È la neoplasia più comune negli uomini (15% dei tumori) e colpisce maggiormente le fasce di età più anziane. Si calcola che un maschio su quattro tra i 50 e i 60 anni possa presentare cellule cancerose nella prostata. Numero che sale a uno su due oltre gli 80 anni. Alla base della malattia ci sarebbe una mutazione nel DNA delle cellule che causa una loro proliferazione anomala.
I maggiori fattori di rischio sono l’obesità, che causa sovraccarico della ghiandola, e la familiarità del tumore, vale a dire la presenza di un consanguineo che abbia sofferto della stessa neoplasia. Oltre che, ovviamente, il fattore età. Letale è però anche il ritardo nella diagnosi, sempre più diffusa soprattutto nei paesi a basso o medio reddito (LMIC, Low and medium income countries).
Tre possibili soluzioni
Gli stessi autori dello studio forniscono tre possibili vie da percorrere per «mitigare l’impatto globale» del cancro alla prostata. In primo luogo, i percorsi diagnostici dovrebbero essere modificati per facilitare la diagnosi precoce, evitando al contempo il sovra-trattamento della malattia. Un cambiamento che dovrebbe andare a braccetto con una più ampia rete di controlli e screening sulla salute maschile.
Fondamentale è anche la responsabilizzazione dei pazienti, e il loro confronto diretto con il personale medico potrebbe portare a una maggiore personalizzazione delle cure. Al personale medico, qualora fosse possibile, potrebbe anche sostituirsi nel prossimo futuro un sistema di intelligenza artificiale. Che, con le sue capacità di rielaborazione istantanea di dati e immagini, aiuterebbe non solo in fase di diagnosi ma anche di selezione della cura. Da ultimo, è indispensabile espandere l’accesso alla chirurgia e alla radioterapia nei Paesi LMIC, formando il personale e disponendo di adeguate attrezzature sanitarie. Anche perché, insieme all’aumento dei casi di cancro, cresceranno anche altre patologie come il diabete e le malattie cardiache.