È polemica sulle domande intime durante il processo Ciro Grillo. La ragazza che accusa il figlio del fondatore del M5S ha risposto per quasi 5 ore a quesiti particolarmente dettagliati sul presunto stupro di gruppo.
Le domande choc
«Perché non ha urlato?», «Come le sono stati tolti gli slip?», «Perché non ha reagito con i denti durante il rapporto orale?». Sono queste le domande cui mercoledì 13 dicembre ha dovuto rispondere la presunta vittima nel processo di stupro di gruppo che sarebbe stato compiuto da Ciro Grillo (figlio del fondatore dei Cinque Stelle) e dai suoi tre amici genovesi Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia.
Un interrogatorio definito da Medioevo e con domande troppo intime e rievocative, che hanno portato la giovane italo-norvegese a perdere il controllo durante l’interrogatorio. «Se fossi riuscita a divincolarmi non avrei vissuto questa cosa, ca**o» afferma davanti al Presidente del collegio giudicante Marco Contu, che richiama all’ordine: «Diamoci tutti una calmata».
Eppure il processo ha assunto ancora un volta tinte drammatiche. La ragazza ha risposto per più di cinque ore alle domande dell’avvocata Antonella Cuccureddu, difensore di Francesco Corsiglia, tra pianti e “non ricordo”, fino ad asserire: «Sono esausta e mi viene da vomitare dallo schifo».
Al termine dell’udienza, l’avvocata visibilmente seccata dalle polemiche, ha sottolineato come le domande fossero state vagliate e, nonostante delle opposizioni, tutte ammesse dal tribunale, poiché incentrate esclusivamente sui fatti e non sui sentimenti della vittima.
«Nei processi si ricostruiscono i fatti, e il fatto di cui discutiamo è una violenza sessuale. Non c’è niente di intimo in questo: o è una violenza oppure è una cosa intima, o è l’una o è l’altra» aggiunge la legale, convinta che alcune dichiarazioni non tornino, poiché «Non si può obbligare una donna a un rapporto orale — e non le specifico come possa difendersi — a meno che non abbia una pistola puntata alla tempia».
Nell’aula si attendeva di vedere i tre video che immortalerebbero i fatti accaduti nella villetta della famiglia Grillo in Costa Smeralda. Invece, solo foto e messaggi, mentre le sequenze video potrebbero essere proiettate oggi, svelando ulteriori dettagli sulla serata a Porto Cervo del 2019.
La ricostruzione
«Non sentivo il mio corpo e non riuscivo a muovermi». Così la giovane ha ripercorso quanto accaduto in Costa Smeralda, durante la prima udienza tenutasi il 7 novembre 2023.
Secondo le sue dichiarazioni, sarebbe stata abusata dai quattro giovani genovesi che l’avrebbero costretta a bere vodka, poi a subire la violenza sessuale. Prima da parte di uno dei ragazzi, Francesco Corsiglia e poi degli altri tre. «Volevo urlare ma non ci riuscivo. Ero come paralizzata», racconta. Ma gli imputati sostengono che si sia trattato di rapporti consensuali.
Una triste storia che si ripete
L’andamento del processo ha ricordato per molti versi quello tenutosi a Latina nel 1979 per il delitto del Circeo.
Nel corso del processo, infatti, gli avvocati della difesa provarono in tutti i modi a screditare la vittima, chiedendole molti dettagli sui rapporti sessuali avuti e presentarono la mancanza di segni di percosse come la prova che non ci fosse stata alcuna violenza sessuale. I fatti erano dunque la normale conseguenza dei comportamenti della ragazza, presentata come una “facile”.
Ad oggi, questo atteggiamento prende il nome di victim blaming ed è un processo psicologico con cui si tende a colpevolizzare la vittima. Si tratta di un’impostazione che si presenta sistematicamente nei confronti delle donne, a causa di una cultura tipicamente maschilista, in cui l’uomo, nella stessa circostanza, appare invece fieramente esperto.
In merito, le parole di Tina Lagostena, legale della difesa nel processo del Circeo, hanno rappresentato un manifesto: «Nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. […] Se la donna viene trasformata in un’imputata, si ottiene solo che non si facciano più denunce per violenza carnale. Ed è umiliante venire qui a fare un processo per dire “non è una puttana”. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori».
A cura di Cosimo Mazzotta