C’è ancora un piccolo paradiso terrestre nelle acque del Tirreno meridionale: sette isole (Alicudi, Filicudi, Salina, Panarea, Lipari, Stromboli e Vulcano), dalle acque blu cobalto e le coste rocciose, ricche di calette e circondate da faraglioni. Sono le Eolie, un piccolo arcipelago che domina la costa della Sicilia nord-orientale: lì la natura regna sovrana.
E lo fa da secoli perché – racconta la mitologia greca – è dal dio dei venti, Eolo, che prendono il nome le Eolie. Ma è a un altro dio che le sette isole devono la propria fama: Efesto, il dio del fuoco, a cui è consacrata Vulcano. L’arcipelago, infatti, è di origine vulcanica e tutt’oggi, su due isole, ci sono dei vulcani attivi: uno è lo Stromboli, in perenne, seppur ridotta, eruzione; l’altro è Vulcano, quiescente per decenni, e ora non più.
Vulcano si risveglia
Fa molto caldo a Vulcano anche quando agosto è già terminato. Alle Eolie non è una rarità perché la bella stagione si protrae fino a ottobre inoltrato. Nel settembre 2021, però, la fine dell’estate porta con sé una novità: il vulcano, che non erutta dal 1888, si risveglia.
Il primo segno è il forte aumento della produzione di gas, che indica un’ascesa del magma. «Sono sostanze tossiche o asfissianti, come l’anidride carbonica (CO2), che sostituisce l’ossigeno», spiega il dott. Mauro Coltelli, responsabile del Centro Monitoraggio Eolie (CME) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). «La CO2, visto il suo peso, si concentra in basso e può raggiungere una percentuale nell’aria vicina al 100%, facendoti affogare», aggiunge lo scienziato. Ma non finisce qui. Perché Coltelli riscontra un altro fenomeno legato alla risalita del magma: la deformazione del cono della fossa, cioè un rigonfiamento dell’edificio del vulcano. «Ha avuto un sussulto, che avrebbe potuto portare a una situazione critica. Se una parte significativa del cono crolla in mare, del resto, si può produrre uno tsunami di una certa entità», chiarisce il vulcanologo, che ci tiene a tranquillizzare: «L’emergenza sta rientrando».
A Vulcano, infatti, il livello d’allerta è tornato giallo. Prosegue la crisi minore idrotermale superficiale, con modesti incrementi della temperatura di emissione e del flusso dei fluidi, ma l’attività del vulcano è in lento declino. «Nulla impedisce che torni a risalire come nel 1888», rivela però lo scienziato, «anche bruscamente, fino ad arrivare alla situazione eruttiva». Il problema è che non è possibile prevederlo.
Marcare la risalita del magma
Ad oggi, è difficile stabilire il decorso delle crisi di Vulcano. «Non conosciamo l’esatta collocazione del serbato magmatico. E se non scopriamo le condizioni della regione che ci sta sopra, non possiamo sapere se cederà, permettendo l’ascesa del magma», racconta Coltelli. È questo, quindi, il motivo che ostacola le previsioni a lungo termine dei vulcanologi, che stanno mettendo a punto dei sistemi di topografia sismica per individuare e studiare il serbatoio.
«Nel frattempo, non ci resta che marcare la risalita della lava attraverso gli strumenti di monitoraggio», continua lo scienziato. Come? «Con la rete di misura dei gas e i sistemi che controllano l’inarcamento del suolo, i due fenomeni che precedono un’eruzione. E anche grazie a tre gravimetri, che indicano quando la crosta terrestre viene sostituita dal magma», spiega Coltelli. Tutti e tre gli strumenti, però, si limitano a mostrare quello che è in atto, e non quello che avverrà.
C’è un nuovo studio, invece, che potrebbe migliorare i modelli che predicono le eruzioni. L’ha condotto il gruppo guidato da Daniel Rasmussen, vulcanologo dello Smithsonian National Museum of Natural History di Washington. La ricerca ha calcolato il contenuto d’acqua nelle rocce eruttate da 62 vulcani ad arco. Dopo ha confrontato i dati raccolti con un sottoinsieme composto da 28 di questi vulcani, dei quali è nota la dimensione della camera magmatica. Così, ha evidenziato una correlazione tra la percentuale di acqua nel magma e la profondità della camera magmatica. In altre parole, maggiore è la quantità di acqua e più la lava si è formata in basso. E questo è un dato che potrebbe davvero rendere più accurate le previsioni vulcaniche. Perché se l’acqua non fuoriesce dal magma prima che giunga in superficie, si innescano eruzioni esplosive: le più pericolose.
Il lavoro di Rasmussen e colleghi, però, non considera una variabile, decisiva per le Isole Eolie. «Stabilire la profondità di un serbatoio magmatico in base al contenuto d’acqua nei magmi è un po’ una speculazione», rivela infatti Coltelli. «Certo, delle basi scientifiche ci sono – prosegue -, ma per stabilire la posizione di un serbatoio si fa uso di informazioni prese da magmi del passato. Mentre a Vulcano la lava non è sempre la stessa: muta, perché date le piccole dimensioni del vulcano, non c’è una camera magmatica strutturata che consente il riciclo della lava. Nel tempo, viene sostituita da altra completamente diversa». Come dimostrano le eruzioni del passato: nel 1700 Vulcano ha prodotto un magma di ossidiana nera, estremamente viscoso e molto evoluto. Ma nel periodo romano, l’altro piccolo vulcano dell’isola, Vulcanello – situato sul bordo della caldera -, ha eruttato un magma basaltico: l’esatto opposto.
I due vulcani delle Eolie
Se è impossibile prevedere quando Vulcano tornerà alla fase eruttiva, lo stesso non può dirsi dello Stromboli. Il vulcano più conosciuto delle Eolie, infatti, è in perenne attività: le eruzioni sono continue, più volte all’ora, ma sono particolarmente piccole e non superano le decine di metri cubi di magma. Persino i fenomeni estremi, i parossismi – violente e improvvise esplosioni, che formano delle colonne eruttive, e si sono verificate solo quattro volte negli ultimi vent’anni – hanno un volume che è solo tre volte più elevato delle eruzioni ordinarie. «Stromboli è comunque un vulcano pericoloso», spiega Coltelli, «oltre a rappresentare una rarità: sul pianeta ne esiste solo un altro con le stesse caratteristiche, che si trova alle isole Vanuatu e si chiama Yasur».
Poi c’è Vulcano, la cui attività è totalmente slegata da quella dello Stromboli. È un vulcano più convenzionale, ma desta maggiore preoccupazione perché quando esplode emette milioni di metri cubi di lava. «I volumi sono impattanti per la dimensione dell’isola e sono comparabili alle eruzioni esplosive dell’Etna», chiarisce il vulcanologo. «Del resto – aggiunge – è qui che i romani e i greci hanno collocato il dio dei vulcani. Questo significa che nell’antichità la sua attività era considerata più forte di Stromboli». Vulcano, infatti, passa gradualmente da periodi in cui è quiescente – caratterizzati comunque da forti emissioni di gas e piccoli terremoti sotterranei – alla fase eruttiva.
Nel farlo, mostra una serie di variazioni: risale il magma e fa crescere l’emissione di gas, oltre a rompere la crosta terrestre creando terremoti di bassa intensità; ma fa aumentare anche la temperatura delle falde acquifere sottostanti, e allora sì che si genera una forte sismicità. «È un percorso lento e complesso – rivela Coltelli -, che spesso e volentieri abortisce. Come è successo dall’88 al ‘93, quando si è verificata la crisi più importante, poi rientrata. La stessa situazione sembra si sia riproposta a settembre 2021 ma, come ho già detto, è difficilissimo da prevedere».
Il motore di tutto
Esiste, in realtà, una ricerca che potrebbe sbloccare la situazione e rendere più chiaro il decorso delle crisi. Si è arenata però per i costi eccessivi, e non aveva una relazione diretta con le Eolie. «È il progetto sul Marsili, un bacino di retroarco a nord dell’arcipelago», racconta il responsabile del CME. «Possiamo definirlo un vulcano sottomarino particolare – continua -, perché non è né un vero vulcano, né una dorsale oceanica. Ma è l’elemento dinamico più grandioso del Tirreno meridionale visto che ha creato tutti i vulcani, probabilmente anche l’Etna e il Vesuvio: è il motore di tutto». In mancanza di studi, tuttavia, l’origine e la natura del Marsili rimangono ancora incerte e dibattute. «Così come la sua pericolosità», afferma Coltelli: «È un’operazione interpretativa, siamo nel campo della speculazione. Quel che è sicuro è che si tratta di un vulcano attivo a tutti gli effetti. La sua attività in passato è stata frequente, anche se l’ultima manifestazione eruttiva risale a cinquemila anni fa. Quando ne farà altre, però, resta un enigma».
La storia delle Eolie
Non è un mistero invece che le Isole Eolie siano abitate sin dalla preistoria. «Già 7.500 anni fa comunità umane vivevano stabilmente a Lipari e Salina», spiega la dottoressa Maria Clara Martinelli, archeologa del Museo Archeologico Regionale Eoliano. «È merito dell’ossidiana – continua la studiosa -, un minerale comune sui vulcani, che nel neolitico veniva usato come materia prima per produrre manufatti e strumenti destinati alla vita quotidiana». Lipari, in particolare, ne era ricca e tale abbondanza, sull’isola, ha garantito una continuità abitativa davvero rara nella preistoria: «Le Eolie sono molto importanti soprattutto per il neolitico. A dimostrazione, basta sottolineare che una delle sue fasi culturali, in Italia, si chiama cultura di Diana, dal nome di un insediamento scoperto a Lipari», rivela Martinelli.
Ma la rilevanza storica delle Isole non è legata solo all’ossidiana. «Non va dimenticata anche la loro posizione geografica, sulle principali rotte marine di commercio attraverso lo Stretto di Messina», aggiunge l’archeologa. «Nell’età del bronzo, infatti, sono iniziati i primi scambi nell’Egeo con i Micenei – racconta -, mentre nel periodo greco l’arcipelago è stato un avamposto contro l’espansione degli Etruschi nell’Italia meridionale: dopo averli sconfitti, i Liparesi si sono spinti fino al santuario di Olimpia, per fare un’offerta ad Apollo». È antica, quindi, la storia delle Eolie, e non mancano le tracce: a Salina, Panarea e Filicudi ci sono i resti dei villaggi dell’età del bronzo; a Lipari si trovano le mura della città greca, le terme romane e la necropoli greco-romana, che conteneva quasi tremila tombe.
Eppure le fonti descrivono le sette isole come luoghi difficili da abitare per via dei vulcani. «Hanno fornito l’ossidiana e reso la terra più fertile e ricca di minerali», rivela l’archeologa, «ma sono anche responsabili delle crisi di popolamento avvenute in alcuni periodi della preistoria». Gli abitanti, però, non fuggivano quando Stromboli e Vulcano ritornavano in attività: «Si adattavano con una certa resilienza – spiega Martinelli – e si insediavano nelle zone più riparate di ogni isola». Tranne di una, Vulcano, su cui l’uomo non si è mai insediato perché troppo pericolosa: «È abitata solo dagli anni ’50. Anzi, nell’800 ci mandavano i detenuti a fare i cavatori di zolfo. Ora, invece, è densamente urbanizzata e se mai dovesse riesplodere il vulcano, bisogna vedere cosa accadrà visto che passeranno anni prima di ritornare a livelli di attività pacifici».
Il tipo di eruzione
Ma che caratteristiche avrebbe un’eventuale eruzione sull’isola di Vulcano? «Abbiamo preso in considerazione quanto accaduto a La Palma, nelle Canarie, nel caso si risvegli Vulcanello, perché non possiamo pensare che la lava esca solo dal cono della fossa», afferma Coltelli. Il riferimento è al vulcano Cumbre Vieja, che dal 19 settembre 2021 ha eruttato per 85 giorni di fila, seppellendo sotto il magma più di 1.300 abitazioni. «Quella di La Palma è un’eruzione molto voluminosa – aggiunge il vulcanologo – e Vulcanello ci si avvicina». Con una differenza: sull’isola spagnola c’è stata un’unica fuoriuscita di lava; il vulcano eoliano, invece, erutterebbe in diverse fasi distanziate negli anni. «Quella di Vulcanello è una zona particolare perché è all’incrocio del bordo della caldera: un’area di debolezza – conclude Coltelli -. È come un grande cratere, nato dal collasso di una camera magmatica scomparsa dopo aver eruttato 30mila anni fa. Nel frattempo, le caratteristiche del vulcano sono cambiate completamente e dal bordo della caldera potrebbe risalire rapidamente un magma basaltico come in epoca romana. Ma non ci aspettiamo eruzioni di grandissima taglia, bensì quelle del periodo storico».