Messico, gli scontri tra i gruppi del cartello di Sinaloa

Sette persone uccise, due disperse e una casa distrutta dalle fiamme. Questo è il resoconto dell’ennesima violenza a Culiacán, capitale dello stato messicano di Sinaloa nota per il legame con il narcotraffico.

La lotta per il controllo del cartello

La città, da martedì 25 novembre, è diventata il centro di raid e attacchi effettuati da bande armate. Per spiegare i motivi di questi scontri bisogna tornare indietro nel tempo. L’origine della violenza è da ricercarsi nel conflitto per il cartello di Sinaloa, conteso tra due fazioni che vogliono ottenere il controllo totale delle rotte per il traffico di stupefacenti. Da una parte abbiamo i Chapitos, i figli di Joaquín “El Chapo” Guzmán Loera, dall’altra i sostenitori di El Mayo Zambada. I due boss sono oggi in carcere negli Stati Uniti: El Chapo fu arrestato nel 2016 e condannato all’ergastolo, mentre El Mayo è stato incarcerato il 25 luglio scorso ed è in attesa del processo.

Una violenza inarrestabile

L’assenza dei leader non ha portato alla fine della diatriba, anzi ha alimentato conflitti più violenti tra le bande armate e la paura della popolazione. La preoccupazione dilagante ha impattato innanzitutto sulle routine giornaliere dei cittadini e ha fatto si che molte università sospendessero le lezioni in presenza. Ma nonostante questi timori, il governatore di Sinaloa, Rubèn Rocha Moya, non si è espresso allarmato e ha etichettato gli scontri come «episodi di violenza isolati». Gli abitanti di Sinaloa, invece, percepiscono una situazione fuori controllo in cui anche la polizia locale risulta impotente.

Incertezza futura

Per il Messico la violenza a Culiacán non è una novità. Il Paese da anni deve fare i conti con corruzione e impunità: ciò non permette di placare le lotte per il controllo del narcotraffico e i tentativi di pace sono destinati a fallire. Già nel 2018, l’allora presidente Andrés Manuel López Obrador si batté per porre fine ai combattimenti con la strategia «Abrazos, no balazos», ovvero «Abbracci, non proiettili».

La politica sociale per contenere l’aggressività, però, non portò a grandi esiti e la violenza all’intero stato di Sinaloa è degenerata: dal 2019 si contano circa 30mila omicidi annui a causa delle battaglie legate al crimine organizzato e migliaia di “desaparecidos”, ovvero persone rapite o sparite. Insomma, il Messico dovrà affrontare un futuro di incertezza e l’attuale presidente Claudia Sheinbaum dovrà capire come gestire la situazione.

A cura di Michela De Marchi Giusto

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