L’Ucraina, a due anni dal conflitto, sembra non essere più il baluardo dell’Occidente da difendere. Pare, invece, che sia sempre più un cuscino da mantenere il più possibile funzionale, mentre alle sue spalle si costruisce un muro di autodifesa più massiccio.
L’addestramento non basta
L’impegno occidentale per Kiev è al minimo dal febbraio 2022. L’addestramento del suo personale, garantito da vari Paesi (tra cui l’Italia, che nel 2023 ha formato circa 1420 soldati) è una parte importante della costruzione di capacità di un esercito, ma anche gli uomini migliori – se non armati – sono impotenti davanti ai muri di cingoli, droni e bombe di un nemico come la Russia.
Kiev ha bisogno di armi. Disperatamente. Zelensky e i suoi non sanno più come farcelo capire. Ormai quasi ci urlano contro, chiedendo missili antiaerei (Patriot, Hawk, IRIS-T e altri) e proiettili d’artiglieria.
Promesse non mantenute
Sembra che l’Occidente, dopo due anni, non ci senta più. E le dichiarazioni dell’Europa non bastano a bilanciare il progressivo disimpegno americano. I fatti smentiscono le parole delle capitali del vecchio continente. Prendiamo la Danimarca, che doveva fornire 19 caccia F-16 all’Ucraina. Alla fine di marzo, Copenaghen ha invece deciso a consegnarne – per ora – solo 6, confermando nello stesso momento l’intenzione di venderne una ventina all’Argentina.
Oppure la Norvegia, che il 12 aprile ha annunciato l’invio di 22 aerei a Kiev. C’è un problema però: 10 non sono operativi. Poco più che rottami malconci, vanno bene solo come fonte di parti di ricambio.
Più attenzione a noi stessi
Cosa c’è dietro questa progressiva diminuzione dell’impegno occidentale? La risposta, implicitamente, l’ha data giovedì 11 aprile il generale Francesco Figliuolo, capo del Comando Operativo di Vertice Interforze, in audizione al Senato. Nella sua relazione sull’impegno militare italiano all’estero ha sottolineato il nostro crescente coinvolgimento sul fianco Est della Nato. Lo scorso anno avevamo schierato circa 2500 uomini e donne. Nel 2024 arriveremo a 3000, con 1100 veicoli (inclusi carri armati), 20 aerei e una fregata in Mar Baltico.
Cosa ci dice questa maggiore presenza, italiana e non, sulla frontiera orientale? Che il timore di un confronto diretto con la Russia sarebbe ormai talmente materiale e preoccupante da spingere tutti i governi nella stessa direzione, quella dell’autodifesa. Se a rischio ci siamo noi direttamente – è il pensiero – allora gli sforzi dovrebbero focalizzarsi sulla nostra prontezza.
È la posizione espressa il 12 aprile dal primo ministro polacco Donald Tusk: «Dobbiamo aiutare l’Ucraina il più possibile, ma tutta l’Europa deve anche pensare più attivamente a come aiutare Paesi come la Polonia e l’Estonia, che si trovano in prima linea. Se siamo un’unica Europa, significa che la guerra è alle porte per tutti». Tradotto: incrementiamo la produzione di armi per riempire di nuovo gli arsenali in ottica di maggiore autodifesa, non per inviarle a Kiev. Una visione, ancora ipotetica, assai miope. Perché se l’Ucraina cadesse, la Russia diventerebbe più forte. E i nostri preparativi, per quanto massicci, potrebbero non bastare a contenerla.