La Libia è in guerra, di nuovo. È una storia lunga e complessa, che pone le radici nello scoppio della Primavera Araba nel 2011. Una matassa intricata, visto che da quel momento il Paese è governato da una serie di milizie che rendono il panorama politico fortemente instabile. Ed ecco che, martedì 13 maggio, si sono riaccesi gli scontri. La protagonista questa volta è la capitale, Tripoli. Il movente è l’assassinio di un comandante di una delle milizie tripoline, Abdulghani Al-kikli. Ucciso dal capo della brigata 444, Mahmud Hamza, aiutato dal nipote di Al-kikli, Saif. Il tutto dentro una delle due compagnie di telefonia nazionale che Saif vuole controllare.
Le milizie
I gruppi miliziani in Libia sono tantissimi. Le organizzazioni si sono divise definitivamente dopo l’uccisione del Generale Gheddafi, nell’ottobre del 2011. Da quel momento a ovest i miliziani collaborano con il governo di Tripoli, mentre a est sono appoggiate dalla forza armata Khalifa Haftar. Poi c’è la questione della Cirenaica, in questa regione le forze armate fanno riferimento alla Cina e alla Russia, anche per il coinvolgimento dei mercenari della Wagner.
La Tripolitania è sostenuta da Qatar e Turchia, dal 2021 le milizie in questa zona fanno riferimento al premier Abdelhamid Dbeibeh. L’ultimo personaggio di questa tela complessa è la capitale Tripoli. Qui i gruppi armati appartengono ai jihadisti dei Fratelli Musulmani e all’ISIS. L’unico filo conduttore vigente è il controllo economico. Tutte queste fazioni si battono per prendere il potere di traffico di droghe, banche e per ottenere definitivamente il controllo politico del Paese.
Il premier
In questo contesto un ruolo fondamentale ce l’ha Dbeibeh. Il premier auspica la presa di tutta la Libia da parte delle sue milizie che, tra l’altro, erano le stesse che si opponevano al governo di Gheddafi. Proprio per questo motivo non si sta impegnando particolarmente al ripristino dell’ordine. Il problema principale è che la Libia possiede centri petroliferi e gasdotti.
In due giorni si contano più di 100 morti. Per ora la guerra è interna alle milizie ma, essendo un Paese petrolifero, si rischia un conflitto su larga scala. La popolazione teme che si possa ritornare alla stessa condizione di 14 anni fa, una guerra civile. Gli odi tribali si riversano soprattutto sulla popolazione, ecco perché molti stanno cercando di lasciare il Paese.