Le proteste che stanno scuotendo il Canada da quasi due settimane si sono trasmesse in un altro continente. Migliaia di persone in auto, camion, roulotte o altri veicoli hanno infatti attraversato in questi giorni la Nuova Zelanda e l’Australia per protestare contro le misure anti Covid. In quest’ultimo Paese, si è formato il cosiddetto “Convoglio per Canberra”, la capitale, che ricalca il nome del canadese “Convoglio della libertà”. Le manifestazioni infatti si sono concentrate soprattutto sull’aeroporto della città. Qui il blocco del traffico ha causato disagi ai viaggiatori, poiché gli autobus che li stavano portando lì hanno dovuto cambiare strada.
Nonostante questi due Paesi abbiano tassi di vaccinazione tra i più alti al mondo, per i non vaccinati le regole sono molto stringenti: divieto di entrare in bar, ristoranti e di visitare musei e altre attrazioni. Essi, nonostante siano una minoranza, sono stati spesso protagonisti di manifestazioni nel corso dell’anno. Inoltre, questa volta, hanno ricevuto un appoggio più trasversale. Alle proteste erano presenti anche persone connesse all’estrema destra, a movimenti che supportano teorie cospirazioniste (come QAnon) e a gruppi religiosi minoritari.
Il ruolo dei social è stato fondamentale per la diffusione delle proteste sono stati proprio i social network, in particolare Facebook e Telegram. Nel primo, gruppi e persone vicine all’estrema destra di vari Paesi (tra cui gli Stati Uniti e Germania, oltre all’Australia) hanno condiviso le foto dei camionisti canadesi e l’hashtag “FreedomConvoy”. Inoltre, sono sorti gruppi e iniziative per aiutare i camionisti in protesta. Su GoFundMe, piattaforma americana di raccolta fondi, una pagina creata il 14 gennaio aveva accumulato più di 7,8 milioni di dollari, prima che fosse chiusa venerdì 4 febbraio. Ciò è avvenuto dopo che la compagnia che gestisce la piattaforma si era consultata con la polizia.
L’ORIGINE DI TUTTO: LE PROTESTE IN CANADA
Le proteste che hanno scosso e stanno scuotendo Ottawa, la capitale del Canada, sono iniziate a gennaio come opposizione all’introduzione dell’obbligo di vaccino per i camionisti che lavorano attraversando il confine con gli Stati Uniti. Una carovana di autocarri ha attraversato il Paese fino ad arrivare nella capitale. Qui, successivamente, essi hanno bloccato strade e traffico, stazionando infine davanti al parlamento, dove si trovano tuttora. Domenica 6 febbraio è stato dichiarato lo stato di emergenza.
Inizialmente, gli aderenti e i sostenitori erano pochi e mal organizzati. Col tempo però, la protesta si è estesa. Come partecipazione, si sono aggiunti vari gruppi politici: dal Maverick Party, partito federalista di centro-destra, ad altri più estremi. Si è ampliato anche l’oggetto delle proteste: i manifestanti mettono ora in discussione tutte le misure anti Covid adottate e lo stesso governo del liberale Trudeau. Inoltre, si è andato allargando anche il campo d’azione. Sono colpite infatti anche Toronto, Edmonton, Vancouver e Quebec City. Tutte capitali, o città molto importanti, delle province del Canada che confinano con gli Stati Uniti.
Il Primo ministro ha cercato sin dall’inizio di minimizzare le proteste, dicendo che erano portate avanti da una «piccola minoranza marginale» (effettivamente gli autotrasportatori non vaccinati sono circa 120mila, 15% del totale, ma hanno poi ricevuto un sostegno più ampio). Inoltre, si è scagliato contro alcuni atti vandalici perpetrati nel corso delle stesse. Non ha mai espresso però la volontà di allentare le restrizioni, anche perché sono per la maggior parte dipendenti dalle decisioni delle singole province. Molte di queste, guidate da politici conservatori (lo schieramento avverso a Trudeau) hanno annunciato il prossimo allentamento delle regole: a breve non saranno più necessari green pass o la prova di tampone negativo e non ci sarà più l’obbligo di indossare mascherine.