Trump e la “strategia” dei voltafaccia: i passi indietro del presidente

Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca è sempre stato al centro della comunicazione nazionale e globale. Raffiche continue di annunci gli hanno permesso di occupare i media in maniera costante, imponendosi come interlocutore mondiale e lasciando il mondo in balia della sua prossima, imprevedibile, decisione. La passione del tycoon di essere al centro dell’attenzione non è un segreto per nessuno, così come non lo sono le continue marce indietro che seguono molte delle sue dichiarazioni.

Il presidente Usa Donald Trump
I passi indietro sui dazi

Fin dal suo insediamento Trump ha impugnato l’arma dei dazi, che avrebbero dovuto spingere le aziende americane dentro i confini nazionali, ridurre il deficit commerciale e aumentare le entrate fiscali. Ma quando il presidente loda i dazi, sottolinea il giornalista Maurizio Molinari a la Repubblica, si riferisce ad un passato lontano, “al periodo fra la fine dell’Ottocento e il 1913. Una versione dell’America che plaude all’isolazionismo”. Guardando a quella lontana America come modello Trump ha imposto i famosi dazi reciproci del “Liberation Day”, sui quali il presidente aveva negato alcun tipo di negoziazione. A piegarlo è stata poi la risposta del mercato stesso: il crollo di Wall Street ha portato a numerose pressioni, anche da parte di senatori repubblicani e di Scott Bessent, Segretario del Tesoro. Ecco quindi la marcia indietro: lo stop di 90 giorni. E Wall Street si rialza.

La sfida con la Cina

Trump ha dovuto piegarsi anche al braccio di ferro con Xi Jinping che, a capo di un regime autoritario, può sfruttare il controllo statale sull’economia per orientare il mercato. Trump si è invece scontrato con la realtà democratica che a volte pare voler scavalcare. La guerra commerciale con il colosso cinese aveva raggiunto imposte del 145%. Ora l’amministrazione Usa tenta negoziati anche con Pechino, l’acerrimo nemico. Questa ritirata trumpiana ha segnato una sconfitta e ha aperto uno spiraglio sulle divisioni interne all’amministrazione Usa che incrinano il senso di onnipotenza che il presidente vuole mostrare.

La guerra dei dazi tra Usa e Cina
Gli attacchi a Powell

Trump ha dimostrato in più occasioni di essere incline a sconvolgimenti emotivi. Ha più volte dichiarato di voler licenziare il chairman della Federal Reserve Jerome Powell, insieme ad altri dipendenti federali e dei parchi nazionali. Pochi giorni dopo la smentita ai giornalisti dallo studio ovale: “Non ho alcuna intenzione di licenziarlo”, ha detto Trump a proposito di Powell, quasi dimentico delle sue precedenti dichiarazioni in cui lo definiva un perdente (“loser”).

Tra Putin e Zelensky

Attacchi personali erano stati rivolti anche al presidente ucraino Zelensky, definito un “dittatore non eletto” e un “comico mediocre”. Il presidente Usa era allora convinto che sarebbe riuscito a risolvere la guerra russo-ucraina nel giro di 24 ore. Durante il famigerato incontro con Zelensky allo studio ovale a febbraio Trump non aveva esitato ad attaccare e spingere in un angolo il presidente ucraino.

Il primo tentativo di far terminare la guerra era infatti passato per una pressione sull’Ucraina affinché cedesse. Trump però si è poi scontrato con la testardaggine del Cremlino, e ha cambiato i toni: più aggressivi verso Putin (si è detto essere molto arrabbiato e “pissed off” con il presidente russo) e più docili con Zelensky. Il tycoon si è anche unito ai leader europei nella richiesta congiunta di un cessate il fuoco rivolta a Putin. La volontà di Trump di giungere ad una rapida conclusione del conflitto ha portato ad una dinamica in cui Putin e Zelensky sembrano competere per rendersi l’un l’altro l’oggetto dell’ira di Trump, spiega Joshua Yaffa al The NewYorker.

Il presidente canadese Mark Carney e Donald Trump
Il cinquantunesimo Stato Usa

I voltafaccia di Donald Trump sono parte di una politica estera che cerca di ridurre al minimo possibile i contatti con l’esterno e di isolarsi sempre di più. Quando Donald Trump parla del Canada come il cinquantunesimo Stato degli Stati Uniti trapela ciò che ha in mente: “creare un unico spazio economico in nord America con una capacità di produzione nelle manifatture e nell’energia tale da poter sfidare la Cina”, riferisce Molinari.

Con l’apertura delle rotte artiche dovuta allo scioglimento dei ghiacci la presenza nell’Artico diventa fondamentale per controllare gran parte del commercio globale. Oggi con Mark Carney, eletto proprio perché visto come una barriera capace di arginare Trump, il tycoon apre al dialogo: afferma che “it takes two to tango” (“servono due persone per ballare il tango”) e che quindi non insisterà sull’annessione del Canada. Tuttavia continua ad affermare che sarebbe vantaggioso anche per i canadesi e lascia un finale aperto: “something could happen.

Donald Trump costruisce la sua azione politica su due direttrici. Da una parte una politica estera che crede nell’individualismo e diffida delle alleanze, dall’altra la conoscenza che controllare la narrazione dominante è essenziale per vincere. Non importa da che parte stia la verità fisica, ciò che conta è essere al centro di ogni dibattito. E Trump lo sta facendo, sfidando quotidianamente la comprensione degli americani e del mondo intero.

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