Ozgur è un distinto signore dai folti baffi bianchi. È nato in Turchia, ma vive da decenni a Milano. Il suo volto solcato dalle rughe è il primo, dopo il terribile terremoto dello scorso 6 febbraio, a comparire sul gruppo Facebook che riunisce i suoi connazionali residenti in Lombardia. Un messaggio semplice, che esprime cordoglio e invita a pregare per le vittime. Ma ben presto la comunità turca ha scoperto di essere sola, in città.
Solidarietà immediata
Subito dopo il sisma il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha espresso vicinanza alle popolazioni coinvolte dal terremoto, dichiarandosi disponibile all’invio sul posto di mezzi e personale. È già attivo nella città di Incirlik un team USAR composto da 11 vigili del fuoco, 2 medici, 2 infermieri e 2 tecnici logistici, in grado di “offrire un contributo concreto all’attività di ricerca e salvataggio dei dispersi a seguito del terremoto”.
La Regione non è l’unico ente che ha dichiarato di voler dare una mano. Una responsabile della Fondazione umanitaria Specchio d’Italia ha raccontato l’incredibile partecipazione delle persone nella raccolta fondi per il popolo colpito dal sisma. La cifra raggiunta supera i 100.000 € e le donazioni crescono ogni giorno. L’associazione ha inviato la sua cucina mobile, in precedenza dislocata in Ucraina, in Turchia ed è pronta a creare nuovi centri di accoglienza per gli sfollati. Anche il Presidente del Corpo Volontari Protezione Civile di Milano, Sergio Caruso, ha dichiarato che il suo dipartimento è pronto, e che dal territorio regionale “sono partite 17 persone”.
Difficoltà burocratiche
C’è anche un’altra faccia della medaglia. La Fondazione Specchio d’Italia ha riscontrato alcune difficoltà. “Stiamo valutando interventi in Siria – ha detto una portavoce – anche se al momento non riusciamo a superare il confine. È stato richiesto al governo siriano di entrare nel paese come organizzazione umanitaria, stiamo aspettando una risposta. La situazione è ancora confusa”. Manca, da parte delle istituzioni, il ruolo di mediazione per facilitare gli aiuti.
Anche la Protezione Civile rimane ferma. Il presidente Caruso spiega: “Noi siamo pronti, ma senza direttive siamo fermi. Non parliamo di territorio nazionale, in cui possiamo prendere l’iniziativa, come fu per Amatrice. In questo caso servono le autorizzazioni dei ministeri competenti. Attendiamo un ordine”.
Insomma, la burocrazia non permette il massimo dell’efficienza che la Lombardia potrebbe offrire.
Mobilitazione di una comunità
All’interno della comunità turca di Milano lo shock per l’accaduto ha generato un silenzio lungo due giorni. Nessuna reazione, nessun commento: il sisma ha colpito duramente non solo la terra natia, ma anche i loro cuori lontani. Poi scatta la gara di solidarietà. Il consolato organizza una raccolta di aiuti alla moschea di via Toffetti 27 (zona Porto di Mare), gestita dall’associazione islamica Ditib. Coperte, pannolini, biancheria, fornelli e alimenti a lunga conservazione: questi i beni più richiesti.
Il lavoro dei volontari è frenetico e va avanti fino a tarda sera. Sono circa 1500 i turchi censiti in città. In realtà sono più del doppio, se chiedete a chi corre tra le cataste di scatoloni e sacchetti che affollano il cortile della moschea. Senza contare, poi, i molti giovani che vengono a studiare nelle università lombarde.
Preoccupazione per le famiglie
Quasi tutti hanno parenti coinvolti nel terremoto. Emine, 20 anni, parla dello zio, rimasto con tutta la famiglia sotto le macerie ed estratto vivo, per fortuna, quasi subito. «A lui è andata bene – dice – perché era in una grande città. Lì i soccorsi sono arrivati dopo 12 ore, ma hanno lavorato immediatamente a ritmi serrati. Nei piccoli centri invece gli interventi non sono nemmeno ancora iniziati».
Un ragazzo, con gli occhiali squadrati, si muove rapidamente in giro per il cortile. Si chiama Furkan, di anni ne ha 31. Sua mamma è ancora dispersa a Gaziantep. «Ormai – racconta mentre inscatola delle coperte – non ho molte speranze. È passato troppo tempo e servirebbe un miracolo per trovarla viva».
«Siamo soli»
È il momento di una pausa. Mentre si disseta, il giovane confida che la mancanza di notizie non è l’unico motivo di ansia. «Noi raccogliamo tanto, e venerdì abbiamo mandato il primo tir. Vorremmo organizzarne altri due, ma non credo ce la faremo». Abbassando gli occhi spiega che, nonostante gli appelli sui social, la risposta è rimasta confinata alla comunità turca. I pochi italiani ad aver contribuito sono i vicini di casa o i colleghi di lavoro.
E le altre organizzazioni? «Macché – risponde scuotendo la testa – la Caritas, che per l’Ucraina era subito scesa in campo, non ci ha nemmeno risposto. Siamo soli, e quello che potevamo lo abbiamo dato». In verità l’ente benefico della diocesi si è attivato, ma solo per raccogliere fondi. Quello che serve, secondo Furkan, sono aiuti materiali, per cui la catena logistica della Chiesa sarebbe molto utile.
Il lavoro al centro Ditib riprende. Mentre i volontari faticano tra gli scatoloni, da una porta fa capolino un anziano signore. Sorride, anche se con occhi colmi di tristezza. «Tesekkur ederim», dice. «Grazie». E mentre ci saluta con una stretta di mano, riconosciamo quello stesso Ozgur dai folti baffi bianchi che per primo aveva dato voce al dolore dei turchi milanesi.