«Il 26 marzo il Parlamento Europeo voterà su una nuova direttiva sul diritto d’autore. La direttiva imporrà ulteriori oneri di licenza ai siti web che raccolgono e organizzano le notizie (articolo 11), e forzerà le piattaforme a scansionare tutti i materiali caricati dagli utenti e bloccare automaticamente quelli contenenti elementi potenzialmente sottoposti a diritti d’autore (articolo 13). Entrambi questi articoli rischiano di colpire in modo rilevante la libertà di espressione e la partecipazione online. Il nostro progetto è parte integrante dell’ecosistema di internet. Gli articoli 11 e 13 indebolirebbero il web, e indebolirebbero Wikipedia». Con questo messaggio, Wikipedia Italia spiega perché tutte le sue pagine web sono state oscurate in queste ore. Si tratta di una protesta contro la riforma europea del copyright, che dovrebbe essere definitivamente approvata il 26 marzo.
Sempre per lo stesso motivo, il 21 marzo erano state oscurate le pagine dell’enciclopedia online in Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Danimarca. Già a settembre, i negoziati con il Consiglio dell’Unione Europea si erano bloccati a causa dell’opposizione di diversi Paesi. Tra questi, anche l’Italia. Erano state Francia e Germania a trovare un accordo per far passare il testo al Consiglio, superando in questo modo le opposizioni. L’approvazione definitiva non è ancora certa: i parlamentari europei contrari proveranno a respingere la riforma del copyright ancora una volta nell’ultima votazione prevista nell’aula di Strasburgo.
LA LEGGE
Gli articoli del disegno di legge oggetto di dibattito sul web sono il numero 11 e il numero 13. Entrambi sono stati citati dall’enciclopedia online che, sebbene non sia direttamente colpita dalla riforma, protesta in nome della libertà di internet. Il numero 11 prevede infatti che le piattaforme come Google e Facebook paghino per ciò che mettono a disposizione degli utenti. I colossi del web, quindi, dovrebbero pagare per usufruire di contenuti quali foto, video e articoli di giornale. Per questo motivo, la legge ha il sostegno della Federazione Italiana Editori Giornali e dell’Associazione Italiana Editori che vedono in una riforma del genere la possibilità di rendere redditizi contenuti diffusi online che attualmente non portano introiti alle testate. In Spagna, la sperimentazione di una norma molto simile all’articolo 11, aveva portato Google News ad optare per la chiusura nonostante fosse il principale aggregatore di notizie nel Paese. Il traffico sui siti d’informazione, dunque, è calato, suscitando diverse polemiche.
Il secondo pomo della discordia è l’articolo 13 che imporrebbe alle piattaforme online un accordo con le case editrici, discografiche e cinematografiche per dotarsi di servizi che servano a identificare contenuti coperti da copyright. C’è qualcuno che lo fa già: un esempio è Youtube. Il sistema “Content ID” esamina e confronta i video caricati con il database musicale inviato dai proprietari dei diritti. Quando i contenuti di un filmato postato da un utente corrispondono ad un’opera coperta da copyright, il proprietario dei diritti può decidere se monetizzare, bloccare o monitorare il video. Un sistema del genere costa a Youtube più di 60 milioni di dollari. Non tutte le piattaforme potrebbero permettersi di pagare cifre così elevate. Le due norme, secondo i principali giganti di internet, sarebbero il prequel di un’inevitabile “censura” sui contenuti, filtrati per copyright e soprattutto non più a disposizione del grande pubblico in via del tutto gratuita. E’ proprio l’idea di servizi free quella che secondo gli utenti sarebbe alla base del web e una riforma come quella che sarà discussa domani potrebbe minarne il senso più profondo. Il rischio è sicuramente quello di imbrigliare il nuovo mondo in una legge che non riesce a stare dietro al mouse.
CHI HA PAURA DEL COPYRIGHT
Sono stati undici i Paesi che da subito si sono schierati contro la nuova riforma europea. Italia, Germania, Belgio, Olanda, Finlandia, Slovenia, Polonia, Svezia, Croazia, Lussemburgo e Portogallo si sono opposti fin da subito agli articoli 11 e 13. Dal web, Google è stato uno dei primi ad entrare a gamba tesa sul tema. L’intervento del gruppo di Mountain View ha interessato l’articolo 11, che vorrebbe imporre a realtà come il motore di ricerca (o gli aggregatori) di metter mano al portafogli per far fronte al pagamento di una licenza utile a mostrare sulle proprie pagine contenuti pubblicati dagli editori. Un’ipotesi non sostenibile economicamente per Google che da sempre afferma di indicizzare gli articoli provenienti da oltre 80.000 siti d’informazione di tutto il mondo tramite il servizio news per offrire loro una possibilità di incrementare il numero di visite senza chiedere in cambio alcun tipo di contributo. BigG ha mostrato come apparirebbe la sezione delle notizie più recenti se la norma entrasse in vigore: completamente bianca. Assenza totale di immagini, nessun titolo negli articoli e niente snippet a offrire un’anteprima di ogni pezzo. Solo il nome delle testate, un’indicazione temporale sull’orario di pubblicazione e i link verso i siti indicizzati. Google, con il suo screenshot, ha tracciato per primo i contorni minacciosi di un horror vacui dell’informazione online.
E’ intervenuta nei mesi scorsi anche il numero uno di YouTube, Susan Wokcicki, concentrandosi sulle ripercussioni negative che avrebbe un’attribuzione delle responsabilità che pende in toto verso le piattaforme per quanto riguarda i contenuti caricati dagli utenti. Sono state lanciate anche diverse campagne di sensibilizzazione come #saveyourinternet e #DeleteArt13 per portare in Europa il grido d’allarme di Google. Neppure Wikipedia è nuova a forme di protesta contro la direttiva riguardante il copyright. I direttori del sito, infatti, in occasione del primo arrivo della riforma in Europa, avevano fatto esplicite richieste ai membri della Comunità Europea. Già in precedenza avevano chiesto la cancellazione dei due articoli. Per protesta, il 12 settembre l’enciclopedia aveva già oscurato le pagine italiane del sito. Dopo la prima bocciatura della direttiva, le pagine erano nuovamente tornate in funzione.