Sale la tensione in Medioriente. Mentre la Corte Penale Internazionale approva la richiesta d’arresto per il Premier israeliano Benjamin Netanyahu, riappare in video il leader di Hezbollah Naim Qassem che minaccia di colpire Tel Aviv.
E tra razzi, contraerea e dichiarazioni esplosive, si muove da un fronte all’altro alla ricerca di un punto d’incontro per una tregua l’inviato speciale USA per il Libano Amos Hochstein.
La decisione della Corte Penale Internazionale
La Corte Penale Internazionale (CPI) ha deciso. La richiesta d’arresto emessa dal procuratore incaricato, Karim Khan, lo scorso maggio, è stata approvata. Per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Hamas Mohammed Deif, è stato emesso un mandato di arresto internazionale per crimini di guerra. Mandato, però, che varrà solo nei 124 paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma, di cui Israele non fa parte. Tra gli esclusi anche la Russia e gli Stati Uniti. Washington, infatti, aveva firmato il trattato, ma la ratifica non è mai avvenuta.
Fondata nel 2002 con sede all’Aja, in Olanda, la CPI è un tribunale per crimini internazionali, come il genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. E la sua regolamentazione dipende dallo Statuto di Roma, che ne definisce la composizione, la funzione e il rapporto con le varie istituzioni governative e non.
Per esempio, la CPI agisce per gli Stati, nel caso essi non vogliano o non possano punire crimini internazionali. L’avvio di un procedimento contro uno o più individui può avvenire se il procuratore o uno Stato firmatario dello Statuto di Roma (o un membro del Consiglio di Sicurezza ONU) decide di muovere un’accusa.
E, solo dopo aver raccolto un numero sufficiente di dati, è possibile presentare la richiesta alla Camera preliminare che autorizzerà o meno le indagini e l’eventuale mandato di arresto. Tuttavia, anche in questo caso, il “braccio lungo” dell’ONU può intervenire. Bloccando l’attività della camera preliminare qualora lo stesso caso fosse sotto esame del Consiglio di Sicurezza.
Cosa succede ora
Adesso è tutto nelle mani dei Paesi membri della CPI. La decisone di implementare o meno i mandati di arresto, infatti, ricade sui singoli Stati nel caso in cui gli interessati si dovessero recare sul loro suolo nazionale. Tuttavia, nel caso in cui gli imputati non dovessero uscire dai loro territori, il mandato d’arresto non avrebbe alcun effetto.
Come nel caso del presidente russo Vladimir Putin, anche lui accusato di crimini di guerra e su cui pende un mandato da parte della Corte Penale Internazionale. Putin, infatti, si recò in Mongolia, Paese che ufficialmente ha ratificato lo Statuto di Roma, ma non fu arrestato per via della posizione neutrale mantenuta dal Paese nel contesto della guerra russo-ucraina.
Un duro colpo per la legittimità della CPI a livello internazionale, le cui sentenze continuano a dipendere dalla discrezione dei singoli Paesi membri e per cui l’efficacia dei mandati rimane relativa.
Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha commentato la vicenda dichiarando il pieno appoggio alla CPI, ma con alcune riserve. «Valuteremo sull’arresto insieme ai nostri alleati cosa fare e come interpretare questa decisione e come comportarci insieme».
Il video messaggio di Qassem
Nel frattempo, è tornato a parlare Naim Qassem. Il leader di Hezbollah ha rilasciato un video messaggio. Le parole e lo stile sembrano quelle del suo predecessore Hasan Nasrallah, ucciso da un raid israeliano lo scorso settembre. Sguardo severo, turbante bianco e occhi dritti in camera, Qassem minaccia di colpire il centro di Tel Aviv come risposta ai raid dell’Idf su Beirut.
Una promessa che sembra fantascienza, visti i risultati degli sforzi di Hezbollah negli ultimi mesi. Probabilmente, il leader sciita sta tentando di guadagnare posizioni nelle trattative (già ben avviate) su un possibile cessate il fuoco.
«Hezbollah ha ricevuto la proposta americana di cessate il fuoco con Israele e ha presentato i commenti a riguardo»- ha dichiarato nel video- «Tutto dipende ora dalla serietà di Netanyahu la questione è legata alla risposta israeliana».
Ha poi ribadito che le operazioni della milizia possono continuare a lungo seguendo il ritmo attuale e che il parere è condiviso anche dal presidente del Parlamento Nabih Berri, parte in causa nelle trattative condotte dall’inviato speciale Amos Hochstein.
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La situazione delle trattative
Le ultime dichiarazioni dell’emissario USA sono state all’insegna dell’ottimismo. Hochstein ha parlato di un cessate il fuoco alla portata delle due parti e ha presentato la bozza a entrambe le fazioni. Restano, però, alcuni dettagli. E non sono di poco conto.
Israele chiede la garanzia di poter attaccare Hezbollah liberamente in caso di violazioni della tregua e che la transizione pacifica sia gestita da Washington e non dall’ONU. Punti che si scontrano con la visione del Partito di Dio.
Qassem, nel video messaggio, ha, invece, ribadito che per le milizie sciite sono fondamentali due principi. Il primo è un cessate il fuoco completo e totale. Il secondo è il mantenimento della sovranità libanese. Tradotto, l’Idf non dovrà avere mano libera in Libano.
Ora, Hochstein continuerà il suo lavoro con un ottimismo, forse, più cauto. Anche se fonti di alto livello hanno riferito all’emittente ebraica Channel 12 che il cessate il fuoco potrebbe essere possibile già entro una settimana.