Donbass: una crisi che odora di guerra fredda

Donbass

Si fa sempre più concreto il rischio di una guerra in Donbass. Una regione che da 7 anni è alle prese con un conflitto a bassa intensità tra i separatisti filo-russi e l’esercito di Kiev. Il Donbass, infatti, resta conteso da quando, tra l’aprile e il maggio del 2014, due repubbliche filorusse si sono separate dall’Ucraina, andando a formare la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk.

Il cambio di rotta nelle politiche estere Usa

Il riacutizzarsi del conflitto in Donbass coincide con il cambio di inquilino alla Casa Bianca. Se l’ex Presidente statunitense Donald Trump ha avuto come principio guida del suo mandato quello di evitare il più possibile l’acutizzarsi dell’antica rivalità con Mosca – seppur continuando a vendere armi di difesa all’Ucraina -, il comportamento di Joe Biden è andato, fin dai primi giorni del suo mandato, nella direzione opposta. Gli ottimi rapporti con Kiev, costruiti da Biden già durante il mandato da vice presidente durante l’amministrazione Obama, hanno fatto sì che Washington rifiutasse qualsiasi forma di negoziazione con la Russia per la risoluzione della tensione in Donbass.

Il filoeuropeista presidente ucraino, Volodymyr Zelens’kyj, ha ricevuto il pieno supporto da Biden durante una telefonata avvenuta il 2 aprile. Il neo presidente democratico ha assicurato il massimo sostegno rispetto a quella che ha definito «un’aggressione russa all’integrità territoriale dell’Ucraina». La risposta di Mosca non ha tardato ad arrivare. La Russia ha dichiarato che, in caso di guerra, l’esistenza stessa dell’Ucraina come Stato sarebbe messa in pericolo: in caso di invio di truppe occidentali in Donbass si renderebbe necessaria una risposta adeguata. Un ultimatum a cui Mosca spera di non dover dare seguito. Sergej Lavrov, Ministro degli Affari Esteri russo, ha specificato infatti che Mosca non ha nessuna intenzione bellicosa nei confronti di Kiev. Al contrario, continua Lavrov, le crescenti attività militari ucraine, «aizzate» dall’occidente e in particolare dagli Stati Uniti, rappresentano una minaccia per i cittadini russi che vivono nella Repubblica Popolare di Doneck.

Il ruolo dell’Unione Europea

Il sostegno all’Ucraina è arrivato anche dall’Unione Europea, che nell’ultime settimane, attraverso diversi rappresentanti, si è dichiarata estremamente preoccupata di fronte all’aumento della frequenza degli scontri sul confine orientale del paese. Una posizione esplicitata anche da Angela Merkel, che in una telefonata dell’8 marzo con il Presidente russo, Vladimir Putin, ha chiesto alla Russia di ridurre i movimenti di truppe al confine orientale dell’Ucraina.

Mosca ha respinto con fermezza l’idea per la quale siano i suoi comportamenti la causa dell’aumento delle tensioni nel Donbass. Putin ha invitato le autorità ucraine a non aggravare la situazione e ad impegnarsi in modo congiunto per attuare gli accordi di Minsk – sottoscritti il 12 febbraio 2015 dai leader di Russia, Germania, Francia e Ucraina per la normalizzazione del conflitto nel Donbass.

Alla base dell’interesse manifestato dall’Unione Europea – e in particolare della Germania – per la stabilità dei rapporti nella regione c’è, oltre che il mantenimento dei propri doveri all’interno dell’alleanza atlantica, la realizzazione del gasdotto Nord Stream 2. Una posta in gioco molto alta, sia dal punto di vista geopolitico che da quello economico. La temperatura tra i blocchi si sta alzando. Vecchi conflitti, rimasti a lungo congelati, iniziano a sciogliersi.

Francesco Lo Torto

Giornalista praticante fiorentino trapiantato a Milano. Leggo, ascolto, parlo e scrivo di politica e geopolitica. Da quando è arrivata l'adolescenza scrivo e compongo musica, da prima ancora mi emoziono con lo sport. Laureato in Editoria e Comunicazione all'Università degli Studi di Milano.

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