«Ciao, sono un padre che ha dato in adozione le sue due figlie. Ora ne sono pentito e vorrei rincontrarle. Qualcuno mi aiuta?». Questo il messaggio nella bacheca Facebook di un genitore, pentito delle proprie scelte, che vuole recuperare il tempo perduto e rintracciare le figlie che ha lasciato andare. E per farlo chiede aiuto a un social network – Facebook appunto -, la più grande comunità virtuale. Il risultato? Le figlie leggono il post e, contrariate, lo segnalano agli uomini di Mark Zuckenberg. In risposta un messaggio pre-impostato: «Il post che hai segnalato non viola gli standard della community».
Il messaggio rimane dunque in rete. È il paradosso di una società sempre connessa, dove la fruizione di dati è a portata di mano nei social network, che dipingono i nostri interessi e ci etichettano come persone di un mondo virtuale che ha ormai tutte le caratteristiche di quello reale.
Non avendo ottenuto alcun risultato, le due ragazze si rivolgono allora al Garante della Privacy, anche in questo caso senza successo: «La fattispecie descritta non è riconducibile nell’ambito delle finalità della legge 71 del 2017», quella che regola la sicurezza e la tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo.
La sentenza del Tribunale civile di Milano
La famiglia adottiva delle giovani non si arrende e si appella al Tribunale civile di Milano. Un giudice finalmente accoglie il ricorso e punta il dito sul trattamento illecito dei dati personali delle sorelle, che «già affette da specifiche fragilità», venute a conoscenza del post hanno accusato il colpo, soprattutto la minorenne che è apparsa «destabilizzata, confusa e disturbata». A quel punto è stata data loro la possibilità di attivare la procedura che consente a chi è stato adottato di chiedere ai giudici di sapere chi siano i propri genitori biologici. Opzione che, al contrario, non è possibile al genitore biologico. Il Tribunale di Milano ha così stabilito che: «I messaggi sulla bacheca pubblica del padre biologico costituiscono trattamento illecito dei dati personali delle figlie naturali, idonei a identificarle» e, in riforma del provvedimento del Garante, «ha ordinato a Facebook la rimozione e il blocco di tutti i messaggi».
Al tempo di internet la comunicazione è senza dubbio più diretta e tutto è raggiungibile, anche un genitore biologico che ha scelto la via dell’adozione per i propri figli. Sempre su Facebook troviamo, ad esempio, la pagina Figli adottivi che cercano genitori naturali. La tristezza del contesto passa in secondo piano di fronte alla forza del messaggio: si potrebbe aprire una procedura speciale veicolata da giudici e da un tribunale, ma è più rapido e immediato fare un post e metterlo in rete con un click.
Il rifiuto delle due sorelle di conoscere il proprio padre biologico non è così strano. Quel post non solo ha suscitato in loro il ricordo di un abbandono colmato da una famiglia adottiva, ma ha contribuito a destabilizzarle, persino a impaurirle. La più giovane aveva paura addirittura, secondo il Tribunale di Milano, «di andare a scuola per timore di essere intercettata lungo il tragitto dall’uomo». L’appello del padre ha infatti reso disponibili informazioni sensibili: nel post su Facebook vengono citati nomi, cognomi e data di nascita delle ragazze. Nel mondo dei social network ci si rende conto di come non sia necessario conoscere veramente delle persone per far sì che queste abbiano un quadro completo di chi siamo.
I big data: tra privacy e condivisione
Questa storia porta di nuovo a galla un dibattito che non ha ancora trovato risposte definitive. Quelli che tutti chiamano Big Data sono utili, ma anche pericolosi. Eppure Facebook, come qualsiasi altro social network, prende solo i dati che noi scegliamo di condividere. Le inserzioni pubblicitarie che ci propone sono il riflesso dei nostri like, delle nostre ricerche e dei nostri interessi: tutti fattori intercettabili dalla rete. Creando un profilo social siamo noi ad aderire consapevolmente a questa logica.
«Internet è entrato in una nuova fase, servono nuove regole – ha detto Nick Clegg, responsabile della Comunicazione di Facebook, ex vicepremier inglese nel governo di David Cameron, in un intervento alla Luiss di Roma -. Sono un tecno-ottimista, credo che la tecnologia possa rendere il mondo migliore». Per Clegg, il giusto bilanciamento tra le regole che governano la condivisione dei dati e la privacy «lo devono trovare i legislatori eletti democraticamente, in Europa e nel mondo, non società private come Facebook».
Da un lato la privacy, dall’altra l’adesione volontaria a fornire dati per entrare a far parte di un mondo – quello della rete – dal quale non si può più rimanere esclusi. La questione rimane aperta.