C’è chi prende un amico sulle spalle e chi sale su una panchina. Ai più alti basta mettersi in punta di piedi e allungare le braccia. L’importante è posizionare i campionatori a un’altezza di almeno due metri e mezzo dal suolo, per misurare in modo uniforme la concentrazione di biossido di azoto (NO2). La campagna “NO2, NO Grazie”, organizzata da Cittadini per l’aria, ha l’obiettivo di mappare l’inquinamento atmosferico, aiutando a raccogliere dati per la ricerca e valutare le misure da applicare.
Come funziona la campagna
Il 4 febbraio un migliaio di volontari ha posizionato in giro per Milano e altri comuni lombardi piccoli campionatori trasparenti per monitorare i livelli di NO2. Un inquinante che rientra tra i “NOx”, «sostanze chimiche che derivano dai motori endotermici delle automobili, soprattutto diesel», racconta Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. «Il monitoraggio dura un mese» spiega Gloria Pellone, collaboratrice di Cittadini per l’aria: «Il 4 marzo verranno ritirati i rilevatori e portati in laboratorio, dove un comitato scientifico di ricercatori e professori universitari si occuperà di elaborare i dati». L’iniziativa, giunta alla quarta edizione, coinvolge la cittadinanza ma anche le amministrazioni comunali: «È una presa di coscienza, serve a richiedere migliori politiche per la qualità dell’aria».
I dati dimostrano infatti che a Milano la situazione è pessima, tanto che la Corte di Giustizia europea ha condannato l’Italia per aver superato i limiti di NO2: «Ci concentriamo sul biossido d’azoto sia perché è facile da monitorare sia perché dà traccia della presenza di tutti gli altri inquinanti, polveri sottili comprese» prosegue Pellone. Cittadini per l’aria porta avanti da tempo diverse richieste. Oltre all’eliminazione del move-in – una deroga agli ingressi in Area B per i veicoli inquinanti – l’associazione supporta «l’introduzione del limite di velocità a 30 km/h, incentivi alla mobilità alternativa e, in generale, una riconversione della logistica» che tuteli la salute delle persone.
Nonostante iniziative dal basso come questa, però, a Milano si continua a non respirare una bella aria. A dirlo è l’ultimo rapporto “Mal’aria di città 2023” di Legambiente, dove si legge che il capoluogo lombardo, subito dopo Torino, è la seconda città italiana per numero di giorni di sforamento dei limiti di PM10: ben 84, vale a dire 49 in più rispetto a quelli consentiti. La situazione non va meglio neanche per quanto riguarda il PM 2.5, presente con una concentrazione di 23 microgrammi per metro cubo, e il biossido di Azoto (No2), pari a 38 μg/mc.
Gli inquinanti
«PM 10 e PM 2.5 sono due frazioni dello stesso inquinante, cioè il particolato sottile», puntualizza Di Simine: «Il particolato primario proviene da camini e tubi di scarico. In Lombardia è prodotto prevalentemente dagli impianti termici a legno, ma anche dall’attrito dei freni e delle gomme delle auto. Il particolato secondario è l’inquinante più diffuso e si forma in atmosfera per reazioni chimiche con altre sostanze come l’ammoniaca, prodotta dalle deiezioni degli animali allevati. Si stima che ogni anno la nostra Regione abbia emissioni di ammoniaca da fonte zootecnica pari a 90mila tonnellate».
I valori riportati di PM 10, PM 2.5 e NO2 non superano quelli previsti dalle leggi in vigore, ma risultano nettamente al di sopra dei valori raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel caso del PM10, Milano registra una media giornaliera di 37 μg/mc: un valore al di sotto dei 50 μg/mc indicati dalla normativa, ma più del doppio rispetto a quelli raccomandati dall’OMS (15 µg/mc).
Lo stesso vale per gli altri inquinanti. Come si legge nel rapporto, «Milano dovrebbe abbattere del 57% le sue concentrazioni di PM2.5 per soddisfare i criteri normativi entro il 2030 e del 78% per rientrare nei limiti raccomandati dall’OMS». Per il biossido d’azoto, invece, servirebbe una riduzione rispettivamente del 47% e del 74%. Un orizzonte che, purtroppo, appare lontano: se si considera che attualmente Milano ha un tasso di diminuzione del 4% all’anno, infatti, ci vorrebbero «circa 17 anni per raggiungere il limite normativo di 20 μg/ mc» previsto per il 2030.
I danni per la salute
«Si stima che, in Italia, l’inquinamento atmosferico da polveri sottili produca circa 50 mila morti premature ogni anno, mentre quello da ossidi d’azoto 15 mila – spiega Di Simine -. A Milano siamo molto lontani dall’avere un’aria pulita: anche se la situazione nella Pianura Padana è migliorata rispetto agli Anni 80, quando c’era un fortissimo inquinamento causato da tubi di scarico e impianti di riscaldamento a carbone».
L’Organizzazione Mondiale della Sanità chiarisce che «le prove dei danni causati dall’inquinamento atmosferico al corpo umano sono cresciute rapidamente, con conseguenze gravi anche a bassi livelli di concentrazione». Il PM2.5 è in grado di penetrare in profondità nei polmoni ed entrare nel flusso sanguigno, con impatti a livello cardiovascolare, cerebrovascolare (ictus) e respiratorio. Il biossido di azoto, invece, è associato a malattie respiratorie come l’asma e sintomi come tosse e respiro sibilante. «Sono entrambi tossici cancerogeni, anche se diversi» spiega Di Simine. Inoltre, un numero crescente di studi mette in relazione questi inquinanti con il diabete di tipo 2, la mortalità neonatale, il basso peso alla nascita e i parti prematuri. L’inquinamento dell’aria potrebbe anche aumentare l’incidenza di malattie neurologiche come il morbo di Alzheimer.
Le soluzioni
«Il rispetto dei limiti normativi sulla qualità dell’aria è una condizione necessaria ma non più sufficiente per tutelare la salute delle persone» scrive nel report Legambiente. Le proposte dell’associazione ambientalista sono diverse. In primis, passare dalle Zone a Traffico Limitato alle ZEZ, Zero Emissioni Zone, cioè aree della città senza emissioni. A Milano, attualmente, c’è l’Area B, che limita fortemente la circolazione dei diesel Euro 4 e 5 e degli Euro 2 a benzina, i veicoli più inquinanti.
Una soluzione può essere anche rendere più efficienti i sistemi di riscaldamento. Secondo Legambiente, serve un grande piano di edilizia pubblica e privata che incentivi una riconversione delle abitazioni per renderle a emissioni zero grazie a misure strutturali come il bonus 110%. A livello pratico, questo significa dismettere le caldaie e le combustioni a metano a vantaggio di sistemi più efficienti alimentati da fonti rinnovabili come quella solare. Tutto questo va associato a misure che favoriscano l’utilizzo dei mezzi pubblici e forme di mobilità attiva, come l’uso della bicicletta.