Mancano meno di venti giorni al 30 giugno, quando si terrà la prima tornata elettorale delle nuove politiche francesi. Ma la situazione è ben lontana dall’essere definita. Alleanze si creano e si disfano nello spazio di ore, alcuni partiti implodono e altri (come Renaissance del presidente Emmanuel Macron) rimangono isolati.
Droite allo sbando?
Succede tutto nel telegiornale delle 13. Éric Ciotti, leader di Les Républicains, annuncia la sua alleanza con il Rassamblement National di Marine Le Pen. Tradotto: il centrodestra moderato gollista infrange quello storico ‘cordone sanitario‘ che aveva sempre tenuto distante l’estrema destra francese dalle poltrone più importanti di Parigi. La rottura con una lunga tradizione e con un contrasto viscerale (anzi originario) tra i due schieramenti: i repubblicani eredi di Charles De Gaulle, l’Rn fondato dagli ex collaborazionisti del generale Philippe Petain. Uno scontro ideologico che risale a ottant’anni fa, ma che fino a ora aveva tenuto ben distanti le parti.
La rivoluzione è stata percepita anche dagli stessi membri del partito di Ciotti. Dei 61 deputati di centrodestra, 45 si sono detti pronti ad abbandonare la barca prima che approdi agli estremismi di Le Pen. «Mai con il Rassamblement, oggi domani o dopodomani», è il grido di Xavier Bertrand, presidente della regione Hauts-de-France. I capigruppo hanno continuato a chiedere le dimissioni del leader repubblicano. Negli ultimi anni, secondo loro, Ciotti sarebbe scivolato progressivamente verso posizioni identitarie lontane dal grande passato del partito.
Ancora più a destra, è curiosa la situazione intorno a Reconquête. Il partito estremista di Eric Zemmour sembrava alleato ideale per Rn, non solo perché uno dei vertici è quella Marion Maréchal nipote di Marine Le Pen. Ma è arrivato il «no» secco di Jordan Bardella, giovanissimo candidato premier del Rassamblement, che non vuole vedersi associato allo stesso Zemmour. La mossa politica di quest’ultimo non si è fatta attendere: un passo indietro personale e la rinuncia a qualunque pretesa di assegnazione ministeriale in nome di un’intesa tra le parti politiche.
Una sinistra senza testa
La sinistra francese non riesce, invece, a trovare una quadra riguardo agli equilibri interni. Il frontman di sabato 8 e domenica 9 giugno era stato Raphaël Glucksmann, indipendente e fondatore di Place Publique. Il 14% alle europee lo aveva lanciato verso un’ovvia posizione da protagonista anche per le politiche di fine mese. Ma un’alleanza tra le varie parti della gauche potrebbe non essere così ovvia.
A dimostrarlo sono i fatti. Già domenica sera i socialisti di Olivier Faure aveva riallacciato le connessioni con la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon e la sua France Insoumise. Lasciando fuori proprio l’uomo di punta, nonostante i suoi ultimi relativi successi. A creare la frattura sono le posizioni diametralmente opposte tra i partiti: europeismo e aiuti all’Ucraina per Glucksmann, sovranismo per Mélenchon. Una distanza che sembra incolmabile e che pone i socialisti di fronte a una scelta netta: o con Place Publique o con France Insoumise. Un Front Populaire a tre è fuori discussione.
E Macron?
Preso in mezzo al caos politico è Renaissance di Emmanuel Macron. Apparentemente calma piatta, anche se i corridoi dell’Eliseo è probabile che raccontino un’altra storia. Lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale era stata preparata insieme a un circolo di stretti collaboratori, tra i quali non compariva l’attuale premier Gabriel Attal. Il 35enne, preso alla sprovvista, è sparito dai riflettori per 24 ore.
Nella giornata di martedì 11 giugno è tornato a parlare, promettendo di «fare tutto il possibile per evitare il peggio». Il problema è che il centrismo di Macron è isolato tra due fuochi. Per dirla con Attal, tra «un’estrema destra alla soglia del potere» e «lo spettacolo rivoltante» dell’estrema sinistra. La strategia dietro alla scelta del presidente è ancora nebulosa. E i primi sondaggi non gli sorridono: la destra è vicina al 50% (Rn al 35), e Renaissance sarebbe la terza forza del Paese dietro anche all’improvvisato Front Populaire delle sinistre unite (e senza Mélenchon).