Firmare ordini esecutivi. È questo il mantra dei primi giorni di presidenza Trump. Immigrati, energia, pubblico impiego, diversità e inclusione, tasse, dazi, amnistia per gli assalitori di Capitol Hill del 6 gennaio 2021.
Una rivoluzione in salsa anti-woke che ha raggiunto i primi effetti pratici al confine con il Messico, dove 33mila richiedenti asilo hanno visto sfumare la possibilità di entrare negli Stati Uniti. Nel frattempo, the Donald si prepara per il dossier Ucraina. Il messaggio per Putin è chiaro: «Fermi la stupida guerra».
La scure sulla migrazione
Lo aveva detto e ha mantenuto la parola: la migrazione illegale e le richieste d’asilo subiranno uno stop. Il Tycoon ha ordinato il dispiegamento di 1.500 soldati al confine con il Messico, autorizzato il dipartimento di Homeland Security a condurre raid mirati per arrestare migranti irregolari e ordinato ai procuratori federali di perseguire le forze dell’ordine locali che non applicano le nuove normative.
I risultati, per ora, hanno fermato circa 33.000 migranti con appuntamenti per richiesta d’asilo al confine con il Messico e oltre 10.000 rifugiati in tutto il mondo che avevano ricevuto l’approvazione per l’ingresso negli USA e che ora si ritrovano con biglietti aerei ma senza poter partire. Intanto, in Kentucky, sono stati scoperti centinaia di volantini del Ku Klux Klan con minacce rivolte agli immigrati: «andate via adesso, evitate le deportazioni».
Ma siamo solo all’inizio. Molte delle direttive necessitano tempo per entrare in vigore e potrebbero incontrare ostacoli politici, legali o pratici. Inoltre, ci sarà bisogno di un massiccio uso di risorse che potrebbe riaprire il dibattito sulla gestione dei fondi. A Donald Trump serviranno miliardi di dollari per finanziare gli spazi detentivi e pagare gli agenti che metteranno in atto i “rimpatri di massa” promessi.
L’avvertimento a Putin
«Se non si raggiunge subito un accordo non avrò altra scelta se non imporre più tasse, dazi e sanzioni su tutto quel che viene venduto dalla Russia negli Usa». Il messaggio di Donald Trump sul social Truth è perentorio e sembra l’inizio di un braccio di ferro. Una situazione lontana anni luce dalle promesse della campagna elettorale, quando il Tycoon si vantava di poter porre fine alla guerra in sole 24 ore.
I segnali di Trump non sono, però, solo negativi. Il Tycoon ha dichiarato pubblicamente di amare la Russia e di non volerla danneggiare, ricordando che con il presidente Putin ha un ottimo rapporto. Ha poi reso omaggio alle «quasi 60 milioni di vite» dell’URSS nella Seconda guerra mondiale, anche se i dati ufficiali parlano di circa la metà.
La risposta del Cremlino non è tardata ad arrivare, ma con toni molto moderati. Dmitry Peskov, portavoce di Putin, ha risposto alla minaccia in conferenza stampa: «Sapete che Trump, durante il suo primo mandato, è stato il presidente americano che più spesso ha fatto ricorso a metodi sanzionatori», ha ricordato. Per poi spiegare che per l’inizio di un possibile colloquio servono «segnali che non sono ancora arrivati».
Non ci sono, dunque, indizi particolarmente rivelatori su una tregua. Lavrov, il ministro degli Esteri di Mosca ha detto che serviranno accordi «affidabili, giuridicamente vincolanti e impossibili da violare». L’unica cosa che è certa è che in un ipotetico contingente di peace keeper non potranno mancare i soldati a stelle e strisce, come sostiene Zelensky. E anche Trump non starebbe pensando a un disimpegno completo, per evitare una figura in stile Afghanistan 2021.
Ovviamente, l’Europa dovrà fare la sue parte. Il 20% delle truppe americane nel Vecchio Continente potrebbe essere richiamato in patria con gli yankee rimasti a difendere la frontiera orientale europea. Ma a pagarli dovrebbe essere soprattutto Bruxelles.