Maggioranza divisa in Olanda, Wilders non sarà primo ministro

Geert Wilders Paesi Bassi

Un passo indietro per la stabilità del Paese. Mercoledì 13 marzo il sovranista Geert Wilders ha ufficializzato la rinuncia alla posizione di primo ministro. Vincitore a sorpresa lo scorso novembre delle elezioni olandesi, Wilders non ha ricevuto il supporto sperato dagli altri membri della coalizione di destra. E dunque l’arretramento, in attesa di individuare una figura che metta tutti d’accordo.

Un «grande amore» per il Paese

«Posso essere primo ministro solo se TUTTI i partiti della coalizione mi supportano. Non è stato così». L’ufficialità arriva dalla bocca – anzi dalle dita – dello stesso Geert Wilders sul social X. L’exploit del suo Partito per la Libertà (Pvv), che il 22 novembre 2023 aveva raccolto il 37% dei consensi, sembra non essergli valso a molto.

La decisione arriva dopo settimane di trattative con il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (Vvd), il Movimento Civico-Contadino (BBB) e il Nuovo Contratto Sociale (Nsc). Un insieme di forze disomogeneo, che spazia dalla destra sovranista del Pvv al centrismo anti-establishment di Nsc. Ma che, con i suoi 88 seggi sui 150 della Camera bassa, costituirebbe una comoda maggioranza rispetto all’opposizione di Timmermans e della sua coalizione socialdemocratica e verde (PvdA).

«L’amore per il mio Paese e per gli elettori è grande e più importante della mia poltrona. Amo i Paesi Bassi». Con queste parole Wilders chiude il suo proclama. Una rinuncia sicuramente non da tutti: un partito che ha ricevuto quasi il 40% tre mesi prima avrebbe potuto forzare la mano e minacciare nuove elezioni. Sicuramente però la mossa ha una strategia alle spalle. Rimane solo da capire quale sia.

Il conflitto interno alla maggioranza

Non sono i temi a frammentare la destra olandese, ma è lo stesso Geert Wilders. Il motivo è rintracciabile nella frase centrale del suo annuncio su X. Quel «vorrei un governo di destra, meno diritto d’asilo e immigrazione, gli olandesi al primo posto» che è la punta estrema di un iceberg che il 60enne si porta sulla schiena dal 2004. Vale a dire da quando, per le sue posizioni duramente anti-islamiche, vive sotto scorta 24 ore su 24.

Geert Wilders festeggia la vittoria delle elezioni nel suo quartier generale

Stop totale all’immigrazione, limitazioni alle moschee, tassazione del hijab e messa al bando del Corano. Queste alcune delle misure prima portate avanti e poi abbandonate – o almeno ridimensionate – dal Pvv. Ma anche la proposta di una Nexit, la versione olandese della Brexit. Un distillato di sovranismo al grido «Restituiamo l’Olanda agli olandesi!» che ha fatto irrigidire i potenziali alleati.

E ora? Il passo indietro è stato presentato come scelta consapevole per garantire la formazione di quel «governo di destra» tanto desiderato dal Pvv. Le negoziazioni continueranno, ed è probabile che il nuovo prescelto dalla maggioranza provenga da uno degli altri partiti. Un boccone amaro da ingoiare per Wilders. Ma forse parte di un gioco a lungo termine. Perché se il nuovo primo ministro non dovesse dimostrarsi all’altezza, o se non si riuscisse nemmeno a trovarlo, a guadagnarne in popolarità sarebbe proprio lo stesso Wilders. Come ha chiosato sempre su X: « E non dimenticate: diventerò ancora primo ministro dei Paesi Bassi. Con il sostegno di un numero ancora maggiore di olandesi. Se non domani, dopodomani. Perché la voce di milioni di olandesi si farà sentire».

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