Urne aperte in Iran per rinnovare i 290 seggi del Majlis, l’Assemblea legislativa della Repubblica islamica e i sette membri dell’Assemblea degli Esperti. Sono circa 58 milioni le persone chiamate a votare.
Si tratta delle prime elezioni successive alla morte del generale Qassem Soleimani, ucciso in un attacco statunitense a inizio gennaio, e l’abbattimento del Boeing ucraino da parte della contraerea iraniana.
L’ombra dell’astensionismo
Tra i primi esponenti della Repubblica islamica a votare l’ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema, che ha rilasciato alcune dichiarazioni ai giornalisti presenti al seggio numero 110 di Teheran: «Chi ha a cuore l’interesse nazionale deve partecipare alle elezioni». Khamenei ha inoltre ribadito che «votare è un dovere religioso» per sconfiggere «i complotti malvagi» degli Stati Uniti e di Israele.
L’appello di Khamenei è volto a scongiurare l’astensionismo. È crescente, infatti, in Iran, la disaffezione verso la politica, incapace, agli occhi della gente, di affrontare i reali problemi del Paese.
La Repubblica islamica sta attraversando una delle fasi più difficili dalla rivoluzione del 1979: un’economia particolarmente debole, colpita anche dalle sanzioni americane, le crescenti tensioni con gli Stati Uniti, la questione dell’accordo sul nucleare.
L’obiettivo dei conservatori
L’obiettivo del blocco composto da conservatori e da ultra conservatori è quello di scalzare i riformisti come partito di maggioranza relativa. Riformisti che, nella legislatura che si sta per concludere, potevano fare affidamento su 137 seggi. Il Parlamento potrebbe così passare sotto la diretta influenza di Khamenei che ha dichiarato: «L’unica soluzione per scoraggiare i nemici è far diventare più forte l’Iran e per questo serve un parlamento forte, che deve poter fare delle leggi che servono e così guiderà tutti i governi che arriveranno dopo in una direzione corretta per il Paese».
Il fronte conservatore incolpa il presidente Hassan Rohani, a capo della fazione dei moderati, di essersi fidato degli Stati Uniti, che, invece, sono usciti dall’accordo sul nucleare e, pochi mesi fa, hanno ucciso Soleimani.
«Se il sistema sostituisce le elezioni con le nomine, e le elezioni diventano una formalità, sarà il pericolo più grande per la democrazia e la sovranità popolare», ha affermato, invece, Rohani. Ma il Presidente si è anche esposto sul bando dei candidati: «Dovremmo ottenere la fiducia del popolo e garantire che non c’è un regime del partito unico come nel comunismo. Oggi, invece, è come se si andasse al negozio per comprare qualcosa, ma fosse poi permesso di scegliere solo una marca».
L’esclusione dei candidati
Nelle settimane precedenti alle elezioni, infatti, si è molto discusso del complicato processo di ammissione dei candidati, gestito esclusivamente dal Consiglio dei guardiani. Si tratta di un organo legato alla parte più conservatrice del paese e formato da 12 membri, sei religiosi e sei giuristi, tutti molto vicini a Khamenei.
Ad eccezione delle elezioni parlamentari del 1980, il Consiglio dei guardiani ha sempre esercitato un controllo rigido sulle candidature per assicurarsi che il potere rimanesse alla fazione più conservatrice, quella legata alla Guida Suprema e alle Guardie rivoluzionarie.
Per queste elezioni il Consiglio dei guardiani ha estromesso quasi totalmente la fazione dei riformisti che resta di fatto senza una rappresentanza. Ma non solo. Ha anche escluso circa 80 parlamentari uscenti, molti dei quali con posizioni più moderate di Khamenei, e diversi conservatori poco radicali.
Secondo quanto riportato da Reuters, sono stati esclusi 6.850 candidati su circa 14mila che si erano presentati. Le motivazioni alla base di queste esclusioni sono soprattutto di natura politica, ma sono state poi di fatto giustificate in pubblico con presunte mancanze di requisiti previsti dalla legge.