L’automobilismo è sempre stato semplice da capire: vince chi passa per primo sotto la bandiera a scacchi. Una penalità di tempo che modifica quest’ordine complica la comprensione e allontana il pubblico dallo sport. Se poi ci aggiungiamo i ricorsi in appello la situazione diventa ingestibile. Perché i tempi della giustizia, si sa, possono essere molto lunghi.
Il riferimento è chiaro: alla fine del Gran Premio del Canada, dove Sebastian Vettel è passato per primo sotto la bandiera a scacchi, il pilota della Ferrari è stato penalizzato di cinque secondi per aver tagliato la strada al rivale Hamilton nel rientrare in pista dopo un errore. L’inglese della Mercedes ha ereditato così la vittoria, mantenendo il record perfetto della casa di Stoccarda in questo 2019. Al di là delle polemiche per la correttezza della penalizzazione, la Ferrari ha giustamente esercitato prima il diritto di appello, poi ha chiesto un’istanza di revisione sulla base di nuovi elementi emersi successivamente. Il problema è che la gara di Montreal si è svolta domenica 9 giugno. Sono passate due settimane e ancora non c’è una decisione definitiva.
I quattro giudici del Canada hanno convocato i rappresentanti della Ferrari venerdì 21, tra la prima e la seconda sessione di prove libere del Gran Premio di Francia. In quella sede verrà stabilito se i nuovi elementi presentati dalla squadra del Cavallino siano sufficienti per riaprire la discussione. Non ci sono però garanzie sulla data in cui si capirà la decisione definitiva.
Tutta quest’incertezza e questi tempi biblici per confermare l’esito di una gara non possono che aumentare il distacco tra circus e tifosi. Perché il pubblico vuole lo spettacolo in pista, che già è carente. Se poi si decide a tavolino di modificare i risultati, la gente resta ancora più delusa. Se, infine, non si riesce nemmeno a capire chi ha vinto un gran premio, cosa che dovrebbe essere immediatamente comprensibile, è normale che le persone smettano di seguire la Formula 1.
Messico 2016, quando sul podio ci sale il quinto
Emblematico in questo senso l’esempio del Gran Premio del Messico 2016. In quell’occasione, alle spalle delle due Mercedes di Hamilton e Rosberg, si scatenò una battaglia per il podio tra le Red Bull di Verstappen e Ricciardo e la Ferrari di Vettel. Terzo sul traguardo fu il giovane olandese, che però aveva già ricevuto una penalità di cinque secondi per aver tratto vantaggio dal taglio di una curva. Al suo posto sul gradino più basso del podio salì Vettel, che poté festeggiare con lo champagne insieme con i piloti della Mercedes. Peccato che un paio d’ore più tardi, anche il tedesco si vide infliggere una dubbia penalità, di dieci secondi, per un contatto con Ricciardo, regalando il podio proprio a quest’ultimo. Si verificò così l’assurda situazione per cui il terzo in classifica era quello che aveva tagliato il traguardo per quinto.
L’ingerenza dei commissari di gara nei risultati è stata oggetto di continue discussioni. Certo è che situazioni controintuitive per il pubblico come Messico 2016 non fanno bene allo sport. Vedere un pilota tagliare davanti a un altro, per poi trovarselo dietro in classifica, è destabilizzante. Così come lo è non sapere ancora l’esito finale di una gara conclusa due settimane prima, vedi Canada 2019. C’è solo da augurarsi che questa deriva giuridica della Formula 1 finisca presto.