Ottanta partite. Sei settimane di pausa l’anno. Un match ogni quattro giorni e infortuni che si ripetono. Questo potrebbe essere il futuro di chi arriverà in fondo alle competizioni calcistiche nella stagione 2024-25, quando i format di Champions League e Mondiale cambieranno. Un numero in continua crescita, basti pensare che nel 1989/90 il Milan di Sacchi disputò tutte le partite possibili: erano “appena” 54.
Troppe partite, che portano ad altrettanti troppi infortuni. I carichi elevati, però, non danneggiano esclusivamente i giocatori. La condizione fisica non ottimale di una squadra comporta una prestazione inferiore e talvolta insufficiente, tanto da rovinare la qualità delle partite. Insomma, un autogol allo spettacolo calcistico stesso.
Premier League, giocatori e allenatori contro la UEFA
Il problema infortuni supera i confini nazionali ed è condiviso nei maggiori campionati europei. In Inghilterra, secondo Premierinjuries.com il dato aggiornato al 9 febbraio 2024 è di 124 calciatori in infermeria, ossia una media di 6 per squadra. Chelsea, Liverpool, Newcastle e Bournemouth contano 9 elementi ko, mentre Nottingham Forest e Sheffield United si fermano a quota 8. Solo il Manchester City di Pep Gurdiola ha tutti i giocatori a disposizione.
L’allarme è stato lanciato subito dopo la Nations League, quando l’attaccante del Manchester City Kevin De Bruyne si è scagliato contro la competizione: «Non ha alcuna importanza, sono amichevoli. Giochiamo una stagione lunga, queste altre due settimane di partite sono semplicemente troppe». Messaggio condiviso anche dal portiere del Real Madrid Thibaut Courtois: «Si gioca solo perché la Uefa vuole soldi in più. Giocare senza fermarsi porta a continui infortuni, ma nessuno si preoccupa per noi. Non siamo robot».
La Uefa, poi, è stata duramente attaccata dagli allenatori inglesi, che si schierano contro i lunghissimi tempi di recupero e l’esagerato numero di impegni stagionali. Il coach del Burnley sostiene debba essere posto un tetto massimo alle presenze stagionali, Mikel Arteta (Arsenal) vuole una modifica del calendario, Pep Guardiola chiede ai giocatori di farsi sentire e di ricorrere al modello dell’NBA: «Senza Guardiola, lo spettacolo va avanti, ma senza giocatori, si ferma tutto: sono loro che devono fare pressione per dire basta. Altrimenti si faccia come in NBA, dove giocano ottanta partite ma hanno quattro mesi per recuperare».
La valutazione dell’esperto
A confermare lo stretto collegamento tra l’elevato numero di partite e un maggiore rischio di infortunio sono anche i membri dello staff medico: «L’aumento di carichi e di richieste e, soprattutto, del numero di partite pesa sulla frequenza e sulla quantità degli infortuni». Così il Dott. Riccardo Conzato, fisioterapista specializzato in terapia sportiva, riconoscimento, gestione e recupero da infortuni, ai nostri microfoni.
Non solo più partire, ma sempre più lunghe. I tempi di recupero ingenti, a volte anche oltre i dieci minuti, rappresentano un rischio perché «più passa il tempo, più diminuisce la tensione, più subentrano la stanchezza e l’affaticamento delle strutture fisiche». L’esperto ha infatti evidenziato che la maggior parte degli infortuni avvengono nei primi dieci minuti dall’inizio – della partita o della ripresa – quando il fisico è freddo, o dal 70’ in avanti, con picchi nel finale degli incontri.
Tuttavia, dietro a questa epidemia, ci sarebbero non solo i calendari densi, ma anche una gestione sbagliata da parte di alcune squadre: «Ci sono società in cui la parte di preparazione, ma soprattutto di recupero non viene rispettata». Molte partite comportano numerose trasferte e ore di viaggio: «Tutto l’insieme contribuisce a ridurre i tempi di recupero e a portare sempre a continuo stress fisico».
Le possibili soluzioni e il modello NBA
Secondo il Dott. Conzato, ridurre il numero di squadre potrebbe non essere la soluzione migliore, perché penalizza lo spettacolo. Sarebbe fondamentale, piuttosto, garantire tempi di recupero dilatati e evitare le troppe sovrapposizioni, “spalmando” meglio la stagione, soprattutto Coppe e impegni nazionali. Le istituzioni – singoli campionati nazionali, Coppe europee, Nazionali – dovrebbero investire di più e si dovrebbe spostare l’attenzione sulla prevenzione, sulla preparazione e sul recupero degli atleti: «Si dà troppa importanza all’allenamento col pallone e troppa poca alla preparazione e al recupero».
Se questi due aspetti venissero gestiti meglio, secondo l’esperto, si otterrebbero benefici importanti nell’arco della stagione: «È dimostrato che alcuni atleti possono mantenere alti livelli nonostante i grossi impegni, basta vedere in NBA». Nel campionato di basket americano si gioca tantissimo, ma i giocatori arrivano a 15-20 anni di attività con pochissimi infortuni seri. Il Dott. Conzato conclude: «È una questione di possibilità economica e di cultura, ma anche nel calcio europeo con la giusta preparazione, i mezzi adeguati e i tempi corretti si potrebbe riuscire a diminuire il fenomeno».