Milano divisa: cantieri bloccati e famiglie in attesa di risposte

Sono migliaia le famiglie milanesi che vivono il dramma di aver comprato una casa che non è mai stata consegnata. Tra cantieri bloccati, oneri urbanistici irregolari e progetti considerati abusivi la città si trova in un dedalo di burocrazia e processi che non sembra aver fine. Anche i residenti dei quartieri interessati dai progetti fermati dalla procura lamentano i disagi creati dalle nuove costruzioni e la mancanza di servizi. Tra inchieste e procedimenti, cresce il bisogno di risposte certe.

Le testimonianze degli acquirenti

«Bovisa: dove prima sorgevano fabbriche e impianti» ora si trovano «aree verdi, campi da gioco, edilizia di qualità. Io non avevo dubbi: questo quartiere sarebbe rimasto casa mia». Hanno raccontato Martina e Filippo. «Ricordo ancora quegli istanti» ha dichiarato Carla «La mano che trema, la penna pesante. L’onere economico, insieme alla paura, è grande. Ma il desiderio di avere finalmente una casa è più grande e quella penna inizia a farsi leggera. Sottoscrivo il compromesso. Sono felice». Sono solo alcune delle tante testimonianze di coloro che hanno acquistato un appartamento nella Residenza Lac. Tutti ricordano il momento della firma del contratto: la gioia e la soddisfazione di poter realizzare il sogno di una vita.

Ma come ha raccontato Carla «La felicità dura poco». Da luglio la vita di più di 1.600 nuclei familiari è in stand-by. I cantieri per la costruzione delle loro future case sono bloccati, perché al centro della grande inchiesta urbanistica che ha coinvolto Milano. Così sono aumentati i «pensieri cupi e bui», la «paura di essere stata ingannata» e «l’angoscia che gli eventuali colpevoli possano farla franca». Anche le domande si sono moltiplicate. «Chi ci ridarà la serenità?» «È giustizia, questa?». Domande a cui è difficile rispondere.

Il comitato Famiglie Sospese – Vite in Attesa
Filippo Borsellino, presidente del comitato Famiglie Sospese – Vite in Attesa

Per questo Filippo Borsellino, uno dei futuri inquilini della Residenza Lac ha fondato il comitato Famiglie Sospese – Vite in Attesa. Ha raccolto le storie di coloro che vivono nel limbo: c’è chi ha «il cantiere bloccato» nonostante il condominio sia già stato costruito, c’è «chi invece vive in una casa dichiarata abusiva e che quindi vale zero, c’è chi ha un contratto su carta e il cantiere non può partire perché il Comune non rilascia più autorizzazioni e c’è chi ha comprato, sempre su carta, in edilizia convenzionata». E che quindi «sta continuando a pagare da contratto i costruttori. Perché il blocco non dipende dalla società di costruzioni, ma dal Comune».

I residenti

Ma quelli di chi ha già versato centinaia di migliaia di euro per un appartamento ancora lontano dall’essere completato e consegnato non sono gli unici interessi in gioco. Diverso è il punto di vista dei residenti delle aree in cui ora si trovano gli scheletri vuoti delle palazzine condominiali – Park Towers, Residenze Lac, Bosconavigli, solo per citarne alcune. Essi, come si legge in un messaggio pubblicato su Facebook dal comitato di rappresentanza Lambrate-Rubattino Riparte, sostengono che i progetti dei nuovi edifici non rispettano gli standard dei servizi indispensabili che dovrebbero essere garantiti a «tutti i residenti, nuovi acquirenti inclusi». Vengono meno: la viabilità, il verde, i parcheggi.

Infatti, l’avvocata Veronica Dini, che li rappresenta legalmente, ha spiegato che ogni progetto edilizio deve essere accompagnato da un piano attuativo. «È lo strumento urbanistico amministrativo con cui il Comune valuta non solo la bontà del singolo intervento, ma soprattutto la sua armonia e armonizzazione con il contesto territoriale in cui riversa. I residenti e le nuove persone che verranno insediate avranno bisogno di servizi standard». Servizi che però al momento non vengono offerti, come ha raccontato Anna, una residente della zona di Maggiolina, dove sorge Torre Milano. «Il palazzo che hanno costruito è molto alto, stona con il quartiere e ha ridotto le ore di luce. Per di più non c’è privacy. Si può vedere ciò che succede negli appartamenti. Tutto, ma proprio tutto».

TorreMilano
Oneri urbanistici irregolari

Per erogare servizi adeguati e stanziare i fondi necessari per farlo, la città deve essere a conoscenza del numero di residenti del quartiere. Ed è per questo che è importante seguire le pratiche urbanistiche per le nuove costruzioni. I cantieri milanesi, oltre a non rispettare i criteri di legge, sono accusati di aver danneggiato l’erario comunale per milioni di euro. Difatti, come ha affermato l’avvocata Dini «gli oneri urbanistici da pagare per una ristrutturazione sono molto più bassi rispetto a quelli per una nuova costruzione». Il motivo è molto semplice: nel caso di rifacimento di un edificio, i tributi sono già stati pagati al momento della realizzazione. Lo sgravio per questa procedura raggiunge percentuali elevate «fino al 68% in meno rispetto a quello che pagherei per una nuova costruzione» ha spiegato l’avvocata.

Infatti, come riporta Studio Corsi Milano, centro di architetti che si occupa di assistenza, progettazione e direzione dei lavori per le opere di urbanizzazione, oggi per le nuove costruzioni residenziali la base per il calcolo degli oneri è di «23,97 euro al metro cubo (urbanizzazione primaria) più 38,02 euro (secondaria)». Un valore che cambia a seconda della zona abitativa. Bisogna poi tenere in considerare il fatto che Palazzo Marino non ha aggiornato gli oneri urbanistici. Per legge ogni tre anni i comuni devono revisionare l’importo che l’operatore deve pagare per poter costruire. Questo però non è stato fatto per «oltre dieci anni» ha spiegato Dini. Dal 2013 al 17 maggio 2023 il capoluogo lombardo non ha modificato i propri oneri e i comitati di quartiere stimano una perdita di «quasi 108 milioni di euro».

Le possibili soluzioni
Veronica Dini, rappresentante legale comitati di quartiere

Per coprire i danni che le nuove costruzioni hanno recato, l’avvocata Dini ha suggerito di ricorrere alla giustizia riparativa. «Non si tratta di indennizzare qualcuno», ma è necessario «compensare in qualche modo i quartieri e lo si può fare solo al di fuori del processo». Attraverso percorsi di mediazione penale, paralleli a quelli giudiziari, infatti, si può provare a ottenere un intervento concreto per la città. Questo però è un procedimento che si può fare solo quando la costruzione è ormai realizzata.

Al contrario, nel caso in cui l’edificio non sia ancora stato completato, è possibile «correggere il procedimento in corso d’opera», rivedendo la documentazione dall’inizio ed «evitando che si creino danni». Ciò significherebbe assicurarsi che si passi dalla Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) a un’istanza di costruzione, per poi «richiedere l’integrazione degli oneri di urbanizzazione e la realizzazione di ulteriori servizi». E questo implica un allungamento dell’iter, un’istruttoria più ampia e, indirettamente, un aumento dei costi.

La vendita su carta

In molti casi, però, la società costruttrice ha venduto i lotti ancor prima di completare l’opera. Questa non è una pratica insolita. Infatti, molti operatori la utilizzano per accumulare le risorse economiche necessarie da investire in nuovi progetti. «Noi tutti abbiamo firmato la proposta d’acquisto davanti al notaio per garantire la trasparenza e la legalità di tutto questo» ha dichiarato Filippo Borsellino. E ha spiegato che il pagamento è stato diviso in due tranches: un primo anticipo del 10% dell’importo totale e un secondo pari a circa il 20%.

Una cifra non irrilevante per la maggior parte delle famiglie, se si pensa che c’è chi ha già versato «un anticipo di 200.000€ per una costruzione» non ancora completata. È questo il motivo per cui i futuri inquilini sono arrabbiati. Emanuela ha spiegato di vivere «una situazione di grave incertezza di cui non siamo responsabili. Non abbiamo comprato una casa di nascosto, lontani da occhi indiscreti. L’abbiamo fatto davanti a un notaio, che abbiamo pagato lautamente» e Borsellino ha aggiunto «il Comune aveva dato il via libera».

Scalo House, il cantiere sotto sequestro
Rescindere il contratto? Una perdita economica

La prima soluzione a cui si pensa è quella di rescindere il contratto. Ma è proprio qui che sorge il «problema vero» per le famiglie. «I soldi che abbiamo investito due anni fa, all’inizio valevano 100, mentre oggi valgono 80» ha affermato il presidente del comitato Famiglie Sospese. Infatti, proprio a causa dell’inchiesta urbanistica il valore delle palazzine sotto sequestro «è stato fortemente ridimensionato». E oggi «è zero» ha affermato l’avvocata, perché «quegli immobili sono abusivi, non hanno i titoli abitativi corretti e quindi sono invendibili. Una persona può viverci, non è che crolla il tetto, ma non riuscirà a venderlo». Un danno ingente per le famiglie che, in media, hanno pagato 4.000 euro al metro quadro (il dato fa riferimento alla Residenza Lac).

A ciò si aggiunge l’aumento dei prezzi delle case a Milano «almeno del 5,7%». Rescindere il contratto significherebbe trovare una nuova soluzione abitativa. Questo risulterebbe più complicato e causerebbe una perdita economica significativa. Allora, Dini ha suggerito di procedere con la richiesta di una sanatoria, che vede due strade percorribili: ridurre l’altezza dei palazzi che non rispettano i limiti previsti dalla legge, o «valutare, pagando più oneri, di conformarsi a qualche altra norma». Ma in alcuni casi, che vanno oltre la violazione paesaggistica, «c’è poco da sanare. Allora l’ultima chance è il condono: si paga una sanzione monetaria e l’immobile diventa in regola. È una sorta di grazia».

I cittadini attendono l’intervento del Comune

È questo il motivo per cui il comitato Famiglie Sospese, sabato 15 marzo, ha organizzato un presidio in Piazza della Scala. «Abbiamo consegnato metaforicamente le nostre chiavi per sensibilizzare l’amministrazione e l’opinione pubblica su quello che stiamo vivendo» ha dichiarato Borsellino. Un passo «fondamentale per ottenere l’incontro con le istituzioni» tenutosi mercoledì 19 marzo a Palazzo Marino. «Abbiamo chiesto un urgente intervento legislativo, che possa permetterci di riappropriarci del diritto inviolabile alla casa che abbiamo acquistato».

Sit-in famiglie sospese

Questo è stato solo «il primo passo verso una loro presa di responsabilità». Ma per il comitato non è sufficiente: «Io ritengo necessaria l’esigenza di una legge nazionale, perché può sbloccare la situazione». Per l’avvocata Dini, invece, la soluzione è più semplice: «Andrebbe riformata l’organizzazione delle modalità di lavoro del Comune di Milano», dato che «in tutta Italia il diritto urbanistico funziona». Mentre in questo caso «è stato piegato ed è una cosa profondamente diversa».

Il Comune non si costituirà parte civile

È questo il passaggio più controverso della vicenda su cui la procura sta indagando. Da un lato il Comune è persona offesa, in quanto i suoi diritti sono stati lesi dai costruttori, ma dall’altro lato sono stati gli stessi funzionari di Palazzo Marino ad aver approvato i progetti, seguendo le abituali procedure. Ed è per questo motivo «che non si costituirà mai parte civile». Lo ha dichiarato Dini, riportando il contenuto della lettera ricevuta in risposta alla proposta avanzata dai comitati di Municipio 3.  Essi chiedevano all’istituzione cittadina di potersi presentare in aula e far valere i propri diritti di persona danneggiata. Per il Comune dichiararsi parte civile significherebbe «costituirsi contro se stessi» e ammettere che «qui ci sono dei dirigenti che non solo hanno autorizzato consapevolmente i progetti, ma addirittura hanno emanato delle determine che hanno espressamente detto: su tutto il territorio di Milano si fa così. La Scia si può usare, la ristrutturazione edilizia si applica in modo molto più ampio. C’è quindi un’evidente corresponsabilità» ha concluso Dini.

Storie diverse, interessi diversi, perfino confliggenti tra loro, ma un unico destino: restare nel limbo, «senza risposte, con il futuro congelato tra burocrazia e inchieste giudiziarie», come racconta Luca. «Una cosa è fondamentale sottolineare», mette in chiaro Borsellino, che si fa portavoce del pensiero comune: «Il lavoro della procura va rispettato. È giusto che chi ha sbagliato paghi, e deve pagare tanto».

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