La guerra colpisce anche chi non è sotto le bombe

“I miei pupazzi li avrò ancora da grande?”, così un bambino di cinque anni alla sua maestra. Ha avuto un incubo. Ha sognato che ogni sera una signora cattiva viene a casa sua e uccide tutti i suoi pupazzi. “Maestra! Esistono i cattivi come la signora del mio sogno?”. Yury (nome di fantasia) è cresciuto in Italia e non conosce l’Ucraina. Adesso, però, i suoi genitori ucraini sono lì, sono andati a prendere una parente rimasta bloccata. Lui non sa, nessuno gli ha parlato della guerra, ma in qualche modo la signora cattiva è arrivata anche nei suoi sogni e minaccia i suoi affetti.

A scuola Yury ha costruito un rifugio sicuro per i suoi peluche e insieme ai suoi compagni hanno iniziato a nascondere lì dentro molti dei loro giocattoli.

Negli ultimi mesi, Raffaella Oruzio, coordinatrice della commissione pedagogica della Federazione italiana scuole materne (Fism) in Lombardia, ha dovuto rispondere a tante domande di questo genere. “Sia gli educatori che le famiglie hanno fatto di tutto per proteggere i più piccoli da quell’orrore, evitando persino di accendere il televisore, ma in qualche modo le immagini sono arrivate lo stesso”, racconta la coordinatrice.

Fin dall’inizio gli istituti hanno avviato un sistema di supporto psicologico e pedagogico a famiglie ucraine e italiane. Molti genitori si sono rivolti agli esperti per capire come spiegare la guerra ai propri figli. “Se cominciano a porre delle domande, rispondiamo parlando di pace con più frequenza e realizzando piccoli spazi fisici che i bambini possano percepire come luoghi sicuri”, aggiunge Oruzio.

Un’iniziativa scolastica per la pace

Nell’ultimo mese le scuole materne hanno cominciato ad accogliere anche bambini scappati dalle bombe. La Federazione ha quindi raccolto informazioni sul sistema scolastico del loro Paese di origine. L’obiettivo è quello di costruire una routine riconoscibile: “A scuola si cantano canzoni e filastrocche ucraine, ma anche inglesi, per provare a sentirsi uguali nella difficoltà linguistica”, spiega la coordinatrice Fism.

Per supportare le famiglie fuggite dalla guerra si è partiti poi da piccoli gesti pratici, come per esempio tradurre i documenti necessari all’iscrizione dei nuovi allievi e coinvolgere le famiglie italiane nell’accoglienza: “Anche questo è supporto psicologico”, conclude la coordinatrice.

Dell’impatto psicologico che questa guerra sta avendo su adulti e bambini non si conosce ancora la portata, ma qualche associazione sta provando a raggiungere anche chi, come Yury, ha bisogno di elaborare il trauma pur non avendo sentito le bombe. È il caso dell’associazione Yealthy, che a Milano, con oltre 200 psicologi volontari, cerca di intercettare le persone di origine ucraina che parlano italiano.

Andrea Giannuzzi, responsabile del progetto, racconta che hanno proposto il proprio aiuto via sms ai 30mila ucraini che possiedono una scheda Vodafone, ma a rispondere sono stati solo in venti. Secondo Giannuzzi “il fatto che molti non riescano neppure ad ammettere lo stress psichico a cui sono sottoposti è un grosso problema”. I loro pazienti sono perlopiù persone stremate dalla pandemia, a cui la guerra ha tolto, in fine, anche la capacità di rispondere alle domande insistenti dei loro bambini.

Elisa Campisi

SONO GIORNALISTA PRATICANTE PER MASTERX. MI INTERESSO DI POLITICA, ESTERI, AMBIENTE E QUESTIONI DI GENERE. SONO LAUREATA AL DAMS (DISCIPLINE DELL’ARTE DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO), TELEVISIONE E NUOVI MEDIA. HO STUDIATO DRAMMATURGIA E SCENEGGIATURA, CONSEGUENDO IL DIPLOMA TRIENNALE ALLA CIVICA SCUOLA DI TEATRO PAOLO GRASSI.

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