Insolita giornata dei lavoratori. Soprattutto se, una volta guardati i dati, ci si rende conto che c’è poco da festeggiare: l’economia italiana, travolta dal Coronavirus, subirà un drastico calo del 9,1% del PIL nel corso del 2020. Lo prevede il Fondo monetario internazionale.
Prende il nome di “Great Lockdown”, la grande chiusura, la più grande recessione dal 1930, anno della grande depressione. Scordiamoci la crisi del 2008: il calo di 0,1% del PIL che subì l’economia 12 anni fa non ci impressionerà (purtroppo) più.
La storia della festa dei lavoratori
Istituita nel 1947 come festa nazionale, la ricorrenza nasce a Parigi il 20 luglio del 1889 durante il congresso della Seconda Internazionale. Venne indetta una grande manifestazione per chiedere alle autorità di ridurre a otto ore la durata della giornata lavorativa.
La scelta del giorno è collegata ad un fatto accaduto tre anni prima, a Chicago, in cui una manifestazione operaia venne soppressa nel sangue. Allora i lavoratori, privi di diritti, erano costretti a subire turni di lavoro che potevano toccare le sedici ore al giorno. Frequenti le morti sul luogo di lavoro. Per questo, il 1 maggio del 1886, fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti. La protesta durò tre giorni e culminò il 4 maggio con il massacro di Haymarket in cui morirono undici persone.
La festa dei lavoratori oggi e le preoccupazioni sulla “fase 2”
Nata per difendere i diritti dei lavoratori, soprattutto contro la condizione alienante di orari stancanti, oggi, in Italia, e non solo, si rischia che sul piatto si ponga la questione contraria: la mancanza di occupazione. La brusca frenata dell’economia mondiale, e in particolar modo di quella italiana, scatenerà i suoi effetti nei prossimi mesi.
A pochi giorni dall’inizio della cosiddetta “fase 2”, annunciata dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte qualche giorno fa durante una conferenza stampa, ci si chiede come potrà ripartire il Paese e quali siano le garanzie disposte.
Sulla tematica del diritto al lavoro, sancito dalla Costituzione all’articolo 4 (e citato già dal primo), ci si domanda se sia giusto, in tempo di crisi sanitaria e pericolo alla salute, arrivare a limitare lo svolgimento della propria professione. A rischio di perderla.
L’opinione pubblica da una parte preme per una ripartenza, pronta, decisa, strutturata, dall’altra frena per paura che la curva del contagio, una volta il “liberi tutti” possa rialzarsi. Poi, c’è chi, indipendentemente dal giudizio se sia giusto o insensato, denuncia la mancanza di metodo per le riaperture. Lo stesso neo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, durante una trasmissione televisiva ha dichiarato che «è dal 5 aprile che io chiedo qual è il metodo per arrivare alla riapertura e non tanto la data della riapertura e ad oggi non ho ancora avuto una risposta. Stiamo arrivando alla fatidica soglia del 4 maggio senza sapere ancora quale sarà il metodo».
«Credo che bisogna avere tutti l’onestà intellettuale – ha sottolineato Bonomi – e la correttezza di affrontare questo tema» della ripartenza «con la voglia di stare uniti e coesi con la voglia di guardare al futuro e non con lo specchietto retrovisore». «Questo voler contrapporre salute e lavoro non è mai stato nelle nostre corde», ha aggiunto, dicendo di percepire su questi temi un «sentimento fortemente anti-industriale».
#1maggio #Mattarella: Viviamo questo Primo maggio con il pensiero all’Italia che vuole costruire il suo domani.
Non ci può essere Repubblica senza lavoro, come afferma solennemente il primo articolo della nostra Costituzione— Quirinale (@Quirinale) May 1, 2020
Riaprire o tenere chiuso? È scontro tra governatori e sindaci
Alcuni governatori regionali premono per la riapertura. Primo tra tutti il presidente della regione Calabria, Jole Santelli, la cui ordinanza sulla riapertura di bar e ristoranti (entrata in vigore il 30 aprile) ha suscitato non poche polemiche, in particolare tra gli amministratori locali, alcuni dei quali della sua stessa area politica, il centrodestra. Chi non appoggia la governatrice sottolinea la necessità di esser quanto più prudenti, per evitare che si possa ricadere in una crisi sanitaria come quella appena trascorsa e che non si abbiano i mezzi per fermarla. Dall’opposizione, poi, si denuncia la mossa «illogica e illegittima» di chi abbia agito per motivi politici, mentre la governatrice giustifica l’ordinanza come scelta necessaria per evitare che, nei casi di forte difficoltà economica, si assista al ritorno (già secondo alcuni verificato) della centralità della mafia. Intanto anche l’esecutivo la definisce una «iniziativa illegittima».
Lo studio del comitato scientifico che frena Conte
Più volte i tecnici dell’Istituto superiore della sanità hanno consigliato la prudenza: l’apertura degli istituti scolastici, ad esempio, avrebbe avuto un impatto deleterio per il contenimento del contagio e probabilmente causato una nuova ondata epidemica.
Secondo quanto riporta Repubblica, il comitato scientifico della Protezione civile sostiene che se si riaprisse tutto subito (scenario impossibile) si registrerebbe un picco di 151 mila persone in terapia intensiva l’8 giugno, mentre a fine anno il numero arriverebbe a 430 mila malati in rianimazione.
Nel caso in cui, invece, venissero chiuse solo le scuole, il picco in terapia intensiva si registrerebbe l’8 agosto con 110 mila malati, per un totale di 397 mila. In Italia i posti letto di rianimazione sono circa 10 mila, un numero che non riuscirebbe a sopportare la riapertura e che ci farebbe pagare, secondo lo studio, un prezzo troppo alto.
Considerando invece lo scenario possibile, e prossimo, e cioè una riapertura graduale da lunedì 4 maggio, i tecnici prevedono che l’indice di riproducibilità e quindi la velocità del contagio, sarebbe allo 0,69 e quindi sotto la soglia di sicurezza dell’1. Il numero delle terapie intensive sarebbe di appena 411 casi fino alla fine dell’anno (il picco di 144).
Messe da parte le previsioni, quel che è certo è che il PIL dell’Italia è in caduta libera. L’Istat sostiene che la flessione del PIL «è di un entità mai registrata dall’inizio del periodo di osservazione dell’attuale serie storica che ha inizio nel primo trimestre del 1995». Il Pil ha subito «una contrazione di entità eccezionale indotta dagli effetti economici dell’emergenza sanitaria e dalle misure di contenimento», spiega l’istituto.
Al netto delle percentuali e dei dati registrati e stimati ci si rende conto che salute e lavoro sono due diritti intrinsecamente correlati. Non si può considerare la salute senza la necessità di un’occupazione, né pensare di tutelare il lavoro senza garantire una protezione alla salute dell’individuo. Lavorare esponendosi al rischio di scatenare una crisi sanitaria è illogico tanto quanto pretendere che l’economia del Paese si blocchi quasi del tutto in attesa che il peggio sia passato. Altrimenti, se il “peggio” è destinato a perdurare, i prossimi morti registrati non saranno di Covid-19, ma di fame.